Huston, abbiamo un problema! Ovvero: l'Io in mente e la quiete perduta.

L’IO IN MENTE
di Sara Ascoli

Ognuno di noi ha ben presente quel brusio incessante nella nostra testa, quella vocina che continua a ripetere cosa è giusto fare o non fare; cosa sarebbe opportuno evitare; come dovremmo comportarci in una data situazione,  ecc…. E’, nella maggior parte delle persone, pressoché onnipresente. Un rimuginare continuo, un pensare compulsivo o, come io amo definirla: è la mente ruminante. In perenne ritorno su se stessa.
Prigionieri di questo incessante rumore mentale non siamo più capaci di smettere di pensare e, ciò che è peggio: spesso lo consideriamo una cosa normale. Anzi, molti ritengono che se smettessero di pensare cesserebbero di esistere.
Tutto questo genera un falso sé. Identifichiamo il pensiero con l’Essere. Crediamo di essere ciò che pensiamo(1).
L’uomo occidentale è identificato con la sua mente: crede a ciò che essa dice e ripete; vive alla sua ombra… anzi si crede fatto a sua immagine e somiglianza. La mente per l’uomo è la sola e unica divinità.


LA QUIETE PERDUTA

Ma cos’è la mente?
Iniziamo con il dire che la mente conscia è consapevole solo di quindici bit di informazione al secondo, quando in ogni momento noi siamo bombardati da ben quindici milioni di bit.
La realtà è che la mente conscia non ha mai la minima idea di cosa stia accadendo(2). Ecco perché la mente ha bisogno di formulare giudizi, definizioni, dare etichette, confrontare, lamentarsi, esprimere avversioni, opacizzare ogni cosa nella riduzione di un concetto. Non sa che pesci prendere: non è nemmeno dotata di amo e canna per pescare! Non può far altro che  convertire ogni cosa a ciò che gli è già noto: come in un archivio suddiviso per voci alfabetiche, la mente chiude ermeticamente ogni contenuto vivente in un grossolano casellario.
I più sono ciechi a questo lavorio. Altri si ridestano e ne soffrono.
Ma di cosa soffrono esattamente?
Di non poterla spegnere.
Siamo in grado di sdraiarci e fermare le gambe; possiamo lasciar penzolar un braccio giù lungo il corpo e non muoverlo; riusciamo persino a trattenere il respiro o la pipì: ma non sappiamo far smettere la mente.
Due cose sono chiare a questo punto: la prima è che la mente non è nel corpo; la seconda è che ci domina!
Non siamo noi ad usare lei, bensì il contrario: lei ci possiede. Lei può farci fare ciò che vuole; può farci dire ciò che più le piace. Può farci persino credere di essere lei.

La mente è sempre mente condizionata, il risultato, cioè, di tutta la nostra storia passata, individuale e collettiva: famiglia, nazione, mentalità culturale. E’ eredità. Ed è già bella e pronta alla nostra nascita: ci precede, preesiste a noi. E ci chiede un contributo.
Questa colonna sonora incessante è ciò che è già stato. E’ il passato. E’ ciò che non è. E coerentemente con la sua natura, opera e giudica e detta legge: vede con gli occhi del passato. Non sa altro se non ciò che fu e riduce ogni evento a quanto le è già noto.
La mente non è mai nel presente. Essa alberga le dimore del passato. Può proiettarsi anche nel futuro, ma lo farà sempre ricavando un‘immagine da ciò che è già stato.
Quanto è già noto rappresenta per tutti una certezza (è il nostro utero), si tratti anche di esperienze spiacevoli o dolorose. L’importante, per la mente conscia e condizionata, è che siano già state: che sia possibile riporre nuovi dati in vecchi archivi, ordinati sotto voci note. 
Delle tre dimensioni temporali unanimemente condivise, la mente ne occupa sempre due: passato e futuro. Si da il caso che proprio in questi due ambiti all’uomo sia negata alcuna presa sulla realtà. Il passato è già bello che andato e non lo si può cambiare. Il futuro è ancora da venire, cosa potrei voler cambiare di ciò che ancora non è?
Il solo momento in cui l’uomo ha presa sul reale è il presente. Qui la mente non ha accesso. Non c’è nulla di già noto nel presente (altrimenti sarebbe già passato). Quest’entità che ci possiede, non ha alcun interesse a far sì che l’uomo resti nel presente, nel famoso qui ed ora, pena la sua esclusione. Ecco che allora il nostro ruminante pensiero ci fa dondolare incessante-mente tra il passato ed il futuro: una tirannia senza sosta che noi stessi ci preoccupiamo di alimentare. Ci occupiamo costantemente di mantenere in vita il passato, attanagliati dalla paura di perdere la propria identità se solo osassimo allontanarci dalla nostra storia.

Provo ora a guidarvi lungo un atto di immaginazione che, almeno per quelli come me cresciuti a pane e cartoni animati, non dovrebbe risultare ostico. Immaginiamo di essere dei robot, dei grandi robot da cartone giapponese anni ottanta. Nella nostra testa c’è un omino addestrato a pilotarci: il Tetsuya(3) della situazione. E’ lui a manovrare i nostri arti: decide cosa e come dobbiamo agire. Ma siamo noi robot ad andare in pezzi, non l’omino. il che fa di noi degli automi senza più controllo.



Altro esempio, stesso paniere culturale: avete presente quei cartoni animati in cui il protagonista sembra perdersi per star dietro alla molesta vocina di un diabolico esserino posto a lato della sua testa?  Ecco due simpatici  modelli di mente condizionata e condizionante. E’ la possessione mentale. Ma come nel nostro primo esempio, la mente non si limita a governare il nostro pensiero: riesce a raggiungere persino il nostro corpo. E’ lei a suggerirci quale emozioni provare.
In realtà le emozioni  (“emovere”, letteralmente sconvolgere) sono poche e rare. Il più è emotività. Una brutta bestia, a dir il vero.
San Giorgio e il Drago. Paolo Uccello.
Per la spiegazione di questa immagine rimandiamo ad un prossimo post!

L’emotività è la risposta corporea al brusio mentale, o meglio: un riflesso della mente nel corpo(4). Se ci identifichiamo con un nostro pensiero rabbioso proveremo rabbia, e tutta la biochimica del nostro corpo risponderà a quella sensazione di rabbia. Stessa cosa vale per un giudizio, per il disprezzo, per la paura, etc.. In quell’istante siamo convinti di provare rabbia: di essere arrabbiati. Si tratta di ciò che additiamo spesso come passioni. Per la filosofia medievale il termine passione aveva un'accezione ormai caduta in disuso: si tratta della caratteristica dell'essere passivo, la condizione di un oggetto o di una persona sottoposta ad una certa azione. Quindi la passione era contrapposta all'azione, stando ad indicare una sofferenza morale, risultante della completa mancanza di volontà e dall'essere dominati. 
 L’emotività è di solito un programma, uno schema, di risposta corporea alla mente. Possiede una carica talmente forte da impedirci (ancora una volta) di restare presenti a noi stessi. Così che dall’identificazione con la mente si passa ad identificarsi con l’emozione: si diventa quell’emozione. L’aggravante è che tale emotività serve ai più come conferma della veridicità del proprio rimuginio mentale, sicché il programma emotivo va ad alimentare lo schema di pensiero. E’ come se la mente avvertisse spesso la necessità di dover fornire prove a sostegno della propria concreta esistenza. La tecnica a cui ricorre è molto comune: ognuno di noi ne cade vittima pressoché quotidianamente, anche se in modo piuttosto inconsapevole. Per dar prova della sua realtà la mente si affaccenda nella creazione di un problema, uno qualsiasi, come ad esempio: “non so più se amo ancora il mio compagno poiché temo di potermi annoiare con lui così come accadeva con il mio ex”. Come dare fondamento al problema appena creato? La mente incomincia ad interrogarsi sul perché della questione. Se c’è un perché su cui arrovellarsi, deve sicuramente esserci una faccenda ad esso relativa. E se il problema c’è, allora anche la mente c’è: è reale!
Quando ci si aggrappa ad un’idea per troppo tempo, questa finisce per diventare reale.
Non lottare mai contro ciò che non esiste. E’ qui che si sono perse tutte le religioni antiche. Una volta ingaggiata la lotta con ciò che non esiste, la disfatta è inevitabile. Il tuo rivolo di consapevolezza si perderà nel deserto del non esistenziale, che è infinito.
Non permettere dunque alla paura di creare problemi” (Osho. Innamorarsi dell’amore. Oscar Mondadori)

Sin qui abbiamo visto come la mente operi sempre nel passato e nel futuro. C’è un’altra caratteristica che smaschera questo falso sé dal quale così spesso ci lasciamo possedere: la mente proietta solo pensieri relativi a problemi(5). Solitamente il rimuginio è caratterizzato da una catena di pensieri negativi ed incontrollabili. In tal modo ognuno di noi crea il proprio falso sé, l’identificazione, in intima connessione con i problemi che ne assillano l’esistenza.
Sostanzialmente le modalità attraverso cui opera il pensiero ruminante possono essere ricondotte appena a  due: mantenere le cose così come stanno, “Huston, abbiamo un problema”(6)!


[1] Eckhart Tolle: il potere di adesso, 2004 Gruppo Editoriale Armenia S.p.A., Milano
[2] Joe Vitale e Ihaleakala Hew Len: Zero Limits. 2009 Edizioni il Punto d’Incontro, Vicenza
[3] Protagonista del Grande Mazinger, uscito in Italia nel 1979.
[4] Eckhart Tolle: il potere di adesso, 2004 Gruppo Editoriale Armenia S.p.A., Milano.
[5] Per conoscere alcune tecniche di liberazione dalla mente, rimandiamo all’ormai celebre testo di Eckhart Tolle: il potere di adesso, 2004 Gruppo Editoriale Armenia S.p.A., Milano.
[6] famosa citazione dal film Apollo 13, storia dei tre astronauti in rotta verso la luna. Si ratta del messaggio radiofonico lanciato dall’equipaggio al Mission Control. In realtà il messaggio corretto, poi riadattato nella finzione cinematografica con l’ormai celebre frase , era: Ok, Huston, qui abbiamo avuto  un problema.

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