Il Labirinto e l'arciere (Parte I)


Il disegno geometrico che poi prese il nome di labirinto apparve circa 5000 anni fa. Da quel momento in poi la sua rappresentazione grafico-architettonica, nonché la simbologia ad esso connessa, si diffusero di tradizione in tradizione evolvendosi di pari passo con lo sviluppo del pensiero umano. Le varianti manifestatisi nei più disparati universi culturali sembravano pur sempre orientate a due principi cardini: il limite e l'autodeterminazione. Ed è tra queste due soglie che l'uomo è da sempre chiamato a muoversi.
A ben guardare, il disegno del labirinto richiama per analogia la rappresentazione grafica di un cervello con i suoi meandri e i suoi circuiti.
















Questo intrico di percorsi, in cui spesso l'entrata e l'uscita coincidono (labirinti monocausali), raffiguravano simbolicamente lo smarrirsi: chi vi si addentrava ne rimaneva intrappolato. Ecco perché in tutti i racconti in cui emerge la forma del labirinto si delinea pure la figura di un eroe chiamato ad attraversarlo grazie all'imprescindibile ausilio di due armi: coraggio ed intelligenza
Coraggio, derivato dal tardo latino coratum, forma popolare di cor, cuore, e intus, avverbio latino che sta per dentro, più il verbo legere, leggere, quindi leggere dentro, pertanto la facoltà di vedere oltre la superficie apparente delle cose. Queste le armi di cui deve munirsi colui che intende attraversare il labirinto.
Vedremo successivamente come cuore e facoltà di vedere non siano propriamente ciò che hai sino ad oggi inteso, bensì alludono a facoltà più nobili.

Il labirinto da attraversare, invece -lo smarrimento- altro non è che la tua ordinaria facoltà mentale: corridoi senza sbocco e scale rovesciate, ovvero l'esercizio del pensiero a cui sei ininterrottamente -ed inconsapevolmente- dedito. Ed è questo errare che ti conduce inevitabilmente a perderti all'interno di un dedalo mortale, ad essere perso nella tua condizione di essere mortale con monotone pareti come destino (Borges: Il Labirinto): a considerarti un individuo nato in una precisa data, da certi genitori, con una tua storia personale che ha determinato irreversibilmente la tua attuale situazione di vita; con le tue insoddisfazioni, prigioniero del tempo e dei doveri; il più delle volte solo e perduto e senza via d'uscita; ingannato dalle mutevoli apparenze di una realtà che non riesci ad afferrare ma in cui ostinato vaghi alla ricerca di un segnale che possa orientarti; con mete che si prospettano ad ogni giorno sempre più lontane; vinto e rassegnato all'ineluttabilità dell'isolamento, della delusione, della faticosa rinuncia a gioire; consumato nel fuggire l'attesa stessa della tua fine.  
Un labirinto è un edificio costruito per confondere gli uomini (Jorge Luis Borges). Come la mente esso protegge e imprigiona.

Cuore e Vista sacra sono le facoltà necessarie per uscirne vivo. Potrò mostrartele successivamente.
Nel racconto del mito del Minotauro, l'eroe ateniese Teseo usufruisce dell'ausilio di un filo per entrare ed uscire dal labirinto.  
Si tratta del celebre filo di Arianna, la figlia del re di Creta Minosse, la quale, innamoratasi di lui, lo aiutò a ritrovare la via d'uscita. Quel filo metaforicamente lega Arianna, rimasta fuori dal labirinto, a Teseo che invece vi si addentra e così ne traccia il percorso agevolandone l'uscita. Quel filo esprime la facoltà del pensare puro, casto e sacro (Arianna è un nome di origine greca composto da ari e hàghne: “molto casta, molto sacra”, quindi colei che riunisce ciò che appare come separato; sacro appunto, che etimologicamente sta per aderire, attaccare, accompagnare): un pensiero incorruttibile dal dubbio, dalle paure, dalle memorie, dagli istinti; un pensare che è quasi un'intuizione, che non permette deviazioni ma va dritto al suo bersaglio. E' una sorta di maestro interiore, una guida infallibile. E come tale accompagna l'eroe nell'impresa pur restandone fuori.


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Sara Ascoli
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