C'era una volta la storia di una Vita e di un'idea (seconda ed ultima parte)

Sino a qualche tempo fa incontravo molto spesso bisognosi all'angolo di strada, barbani, accattoni  e mendicanti. Anzi, di almeno due di essi diventai una buona conoscente. Si trattava di un lavavetri di origine indiana e di una donna nomade. Li trovavo sul tragitto che ogni mattina mi porta da casa a scuola di mia figlia. Ed ogni giorno elargivo loro monete o panni dismessi. Talvolta davo loro dei passaggi con la mia automobile. La donna nomade mi colpì particolarmente. Ogni volta che la incontravo le chiedevo: ‹‹Coma va oggi, Laila? ›› e puntualmente nella sua giornata c'era qualcosa che andava per un verso drammaticamente sbagliato: figli malati, marito arrestato, sgombro del campo, incidenti subiti, interventi chirurgici disastrosi. Ogni volta.

Mia figlia un giorno mi chiese: ‹‹Mamma, ma tu le credi?›› Onestamente fino a quel momento non mi ero mai posta il problema sulla veridicità dei suoi racconti. La lasciavo parlare e la lasciavo alla sua versione della Vita: ‹‹ non mi interessa se dica il vero o menta. Sarà la sua verità comunque, fosse anche una menzogna. Non mi interessa ››.

Ma quella domanda di mia figlia continuava a scavare: ‹‹Mamma, ma tu le credi?›› Ovviamente le credevo! Altrimenti non sarebbe stata nella mia vita. Attenzione, non sto dicendo che credevo ai suoi racconti, alle sue vicissitudini. Credevo alla possibilità di una vita di quel tipo: nel bisogno, nell'amarezza, nella sconfitta. Laila rappresentava una delle infinite possibilità di vivere che io mi figuravo plausibili. E come possibilità rientrava anche nella mia stessa esistenza: anche io pativo periodi senza risorse economiche o con malanni a catena.

Progressivamente incominciai a liberarmi da quello schema: niente più vittimismo. Niente più sventure. Le lamentele ridotte al minimo (è stato faticosissimo!). Nessuna disavventura: solo doni per me, qualsiasi aspetto essi prendano nell'immediato fenomenico del mondo delle cose.

Un bel giorno, con grande stupore, mi resi conto che Laila e l'indiano con il turbante non erano più sulla mia strada: erano spariti!

Gradualmente notai che pur vivendo in una città come Roma, affollata da accattoni di ogni sembianza, io non ne incontravo più. Ma non potei fare a meno di notare come apparvero improvvisamente e numerosi allorché mi accompagnavo a persone con le quali riproducevo lo schema della vittima bisognosa.

Ebbi così modo di rivedere quella dinamica energetica: non si trattava di persone. Sono le idee che ho di me. Sempre meno persone popolano la Vita che Re-alizzo: è Energia con qualche sembiante vagamente umanoide. Sempre meno umanoide e sempre più Amorevole. Sono i miei livelli di Coscienza che popolano il mio mondo delle cose così come in sogno ogni sembiante riflette un aspetto di me.


E così, ancora una volta non ebbi più a incontrarmi all'angolo di strada nelle vesti di un bisognoso a mani vuote. In quell'angolo della Coscienza avevo ormai portato la Luce. E avevo così liberato sia Laila che l'indiano.


Ecco, questo è un esempio di attaccamento.

L'attaccamento è ovunque. Ogni volta che non vuoi perdere un'idea, ogni volta che vuoi avere ragione, quando dai una situazione per scontata o quando confondi una circostanza-condizione per la persona che l'agisce.

Nel mondo delle cose tutto appare come messo fuori da te, dotato di vita e potere propri e in grado di esercitare una qualche forma di pressione (seduzione) su di te. Nella percezione dell'Aldilà è abbastanza evidente che tu sia la stessa Energia di ogni cosa o persona che ti circonda. Che siamo tutti legati, che non c'è tempo né distanza per cui non può nascere in te alcun interesse ad accaparrarti qualcosa che Sei già: una goccia non pensa di poter perdere se stessa nel mare. Essa è il mare. 



Grazie di aver letto fin qui <3


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Sara Ascoli
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