C'ERA UNA VOLTA UN RE. OVVERO: DELL'ARRENDERSI.



Mettiti comodo e lascia che io ti racconti una storia.
C'era una volta un vecchio Re. No, non era anziano, ma molto tempo prima era stato un Re. O tale era per natali. Quando vestiva ancora abiti regali lo lavavano, lo pettinavano, lo cospargevano dei profumi più raffinati e lo vestivano con gli indumenti più sfarzosi e delicati, che fossero una carezza per la sua pelle. Era talmente vasta la sua regalità, che ancor prima che avesse fame, era pronto in tavola tutto il necessario per nutrire il suo organismo, per saziare il suo sguardo, per appagare il suo gusto. Nel suo castello c'era sempre chi si occupasse di ripulire, organizzare, decretare, indire banchetti e festeggiamenti. E c'era sempre qualcuno pronto a inventare fantastiche giornate per rallegrarlo: una partita di caccia, una visita al regno vicino, spettacoli teatrali, bagni termali... insomma, faceva proprio una vita da Re!
Ma un bel giorno quel fortunato sovrano incominciò a dire “no”: no a quel banchetto, no a quegli abiti, no a quei festeggiamenti, no a quell'intrattenimento musicale. No.
Se ne stava ore ed ore seduto sul suo trono lucido a non far nulla, a non sapere come occuparsi del tempo. Un po’ alla volta tutte le persone che lo avevano servito e riverito cominciarono a farsi da parte, annoiate dall'abulia del Re.
Il regno vene attaccato da barbari, le coltivazioni furono distrutte, il bestiame sterminato. L'esercito impreparato chiese di ricevere degli ordini, ma il Re si barricò nelle sue stanze e, guardando lo scempio dalla sua poltrona, ripeteva: ‹‹ povero me. Povero regno. Che fine ho fatto! Ma questi barbari sono troppi e troppo aggressivi... cosa potrei mai fare io con il mio piccolo esercito che non ha mai combattuto una guerra? Oh, come vorrei che questo non fosse mai accaduto, che tutto tornasse al fasto ed allo splendore di un tempo ››.
Se ne stava lì, con le porte serrate, senza impeto né entusiasmi. Le mura resistettero a più non posso, le ante restarono serrate finchè fu possibile...finché alla fine cedettero alla forza dei barbari.
Il Re incrociò lo sguardo fiammante del capo dei barbari che saettò a violare il suo rifugio. Questi lo prese e, tenendolo fermo nei suoi occhi fiammeggianti, lo trasacinò fuori dal regno. E fu così che il Re perse la corona: strisciando sulla terra che un tempo era stata la sua.

C'è chi dice che divenne un vagabondo, che per anni abbia camminato senza sosta, senza destino, tra le terre altrui, raccontando a destra e a manca della sua misera esistenza. E in molti lo compativano: era così mansueto, per nulla borioso, nonostante fosse stato un re! ‹‹ Poverino ›› dicevano tutti, ‹‹che mai farà della sua vita? Non ha più nulla ››.
Un giorno, stanco di camminare e di raccontare la sua storia, si sedette su di una roccia con lo sguardo fisso nel vuoto di una immensa vallata.
‹‹ Fare la vittima è molto semplice ›› sentì pronunciare dietro di sé. Si voltò e vide seduto alle sue spalle un vecchio cieco intento a sbucciare scrupolosamente una mela. L'anziano, continuando nel suo lavoro, proseguì: ‹‹ Resti passivamente al tuo posto, qualsiasi sia il posto libero al momento. Resti inerte, immobile, fisso e immutabile come lo sguardo di un vecchio cieco ››.
Quello che era stato un re trasalì a sentirsi parlare in quel modo.
Ma l'altro, dopo aver preso fiato continuò ‹‹Una vittima ha ben poco di cui occuparsi: sono gli altri, quelli più duri, i più forti, i più scaltri a darsi un gran da fare! La vittima subisce, le braccia legate e il bavaglio alla bocca. Lottare è inutile. L'avversario è di certo superiore e più grande in numero, contro di lui non ce l'ha mai fatta nessuno! ››
Il re trovò finalmente il coraggio e disse ‹‹ Ma di chi parla, buon uomo? ››
E per tutta risposta si sentì dire: ‹‹ Del resto arrendersi pure è impensabile. La vittima non lotta, dunque a cosa mai potrebbe arrendersi? La vittima è un prigioniero chiuso nelle sue stesse stanze. Non lotta e non si arrende. É solo prigioniero. E per cosa dovrebbe lottare? Per difendere cosa? ››
L'altro, quello che fu un re, confuso abbozzò una risposta: ‹‹ Ma... per l'amore delle sue terre... per il bene delle sue genti... ››
Il vecchio tossì e riprese: ‹‹ La vittima non conosce la Vita. Per questo è vittima. Non ha nulla per cui lottare poiché non vede. E' come un vecchio cieco ››.
Di nuovo quel brivido percorse la schiena del re come una frustata.
‹‹ La sua cecità è un rifiuto a vedere, è la resistenza alla Vita. Si chiude nel buio della propria mente con le imposte serrate per sempre. Questa è la resistenza passiva della vittima. Questo è dolce... ››
‹‹ Ma è tristissimo, invece! ›› Disse alzando la voce il re: ‹‹nulla è dolce in una vita così. Deve pur reagire, ci dev'essere pure un modo per venir fuori da quel tedio! ››
‹‹ Venga a lottare ››, ribattè il cieco.
‹‹ Come dice? ››, fece incredulo il re.
‹‹ Ingaggi una lotta con il suo carnefice ››.
‹‹ Con... con... i barbari? ›› si lasciò scappare il vecchio re.
‹‹Con i barbari può andar bene ››, replico l'altro.
‹‹ Ma sono troppi e troppo forti... non ce la farò mai da solo...››
‹‹ Bene. Allora potrà finalmente arrendersi ››. Il vecchio cieco si alzò lentamente, masticò un po' della sua mela e la adagiò sulla roccia. Dopo di che si mise accanto all'altro e lo sfidò a combattere.
 ‹‹Non posso ingaggiare una lotta con un cieco... signore, non me ne voglia. Non è mia intenzione offenderla... ›› ma quello di cui si dice fosse stato un re non ebbe modo di finire la frase che il vecchio gli inflisse un colpo allo stomaco. Il re si piegò in due dal dolore. A stento si rimise dritto, provò ad alzarsi ma…ecco! Un altro colpo. E un altro ancora! Capì che, se voleva salvarsi la pelle, doveva quanto meno fuggire. Tentò di svicolare a destra ma il cieco lo bloccò con un calcio. Poi a sinistra e un altro colpo lo prese nella schiena. In quella non ci vide più dalla rabbia: iniziò a combattere! Sferrò calci e pugni e piazzò pure qualche morso. Credette fosse facile averla vinta su un vecchio e per di più cieco, ma quello lottava senza tregua.
Trascorsero i dieci minuti più violenti che il re avesse mai vissuto in tutta la sua esistenza. Incassato l'ultimo colpo, cadde a terra. Stremato. Vinto. Con la certezza che fosse ormai giunta la sua ora.
Il cieco gli si avvicinò e gridò: ‹‹ per chi lotti? Per chi stai lottando? Cosa hai da difendere? ››
‹‹ Me... la mia pelle, le mie ossa... ›› balbettò, con la bocca impastata dal sangue, quello che una volta era stato un nobile re. Il cieco allungò le braccia verso terra... il re lo guardò fisso, gli occhi tumefatti e il fiato spezzato.

Il cieco sollevò un masso fin su la sua testa e si preparò a scagliarlo contro la vittima immobile al suolo. ‹‹ Per chi stai lottando? ›› intimò con un tono che sembrò offrire l'ultima possibilità a quel corpo inerme.
‹‹ Per me! Per me! Per la Vita! ›› fu l'ultimo urlo disperato del vecchio re. Il cieco si chinò violentemente su quel corpo insanguinato schiantando il macigno... lontano.
Così l'abbracciò. Il Re pianse. Respirò nell'abbraccio e pianse. Solo allora il Re guerriero si arrese. E stretto in quel corpo a corpo guardò da vicino il suo nemico, il suo carnefice. Fu necessario quell'ultimo colpo, quell'abbraccio ravvicinato per scorgere nello sguardo cieco gli stessi occhi fiammeggianti del re dei barbari che anni addietro segnò la sua rovina.
‹‹ Con chi ho lottato? Tu chi sei? Sei tu? Sei tu, non è vero? Sei tu: il barbaro che mi trascinò a terra! ››
‹‹ Lo stesso le cui braccia ora ti tengono sollevato da terra ›› rispose il vecchio.
‹‹ Fosti tu quello che mi strappò via la vita? ››
‹‹ Sono lo stesso. Lo stesso contro cui ora hai lottato per la Vita ››.
Il cieco tirò su il guerriero arreso. Questi asciugò le sue lacrime e disse: ‹‹ Contro lo stesso ho perso due volte! ››
‹‹ Contro lo stesso non lottasti la prima, ma ti arrendesti l'ultima ›› .
‹‹ Ora dimmi ››, disse il Re: ‹‹ chi sei tu, straniero? Un barbaro o un vecchio cieco? Un malfattore o un saggio? ››
‹‹ Lo stesso di sempre. Quello per cui perdesti un regno e ritrovasti la Vita ››.
‹‹ Conosci bene una persona solo dopo averci lottato ››, borbottò il Re a mezzo fiato.
‹‹ Sì. Solo dopo averla vista da così vicino ››, aggiunse il cieco.
‹‹ E pure tu sei tutto ferito e sanguinante... ››, notò allora il nobile guerriero: ‹‹... e questo sangue che ho sulle mani... è ora il mio o il tuo? ››
‹‹ Lo stesso ››, chiuse il cieco.

Si dice che il Re guerriero divenne così un vecchio monaco; che si mise al servizio di quanti avessero perso lungo il cammino la propria Vita, i loro beni, i loro cari. Insegnava loro l'arte della guerra: insegnava loro ad arrendersi alla Vita.

Vedeva bene il vecchio cieco: la vittima è un ruolo inerme. Non richiede affanno alcuno. Ed è un carnefice senza macchia: manda a morire ogni cosa col gusto dell'ignavia.
E' stremato colui che lotta e la battaglia è necessaria per guardarsi da vicino. Solo allora puoi riconoscere che non c'è nemico e che la lotta che hai ingaggiato è con la Vita stessa.
Questo è da sempre il tuo nemico: la Vita che non riconosci, che non sai più come amare. Ed ogni volta che non la riconosci ne fai un carnefice o un nemico. E più la cacci più essa s'avvicina affinché tu possa vederla bene. Talvolta devi arrivare allo stremo delle tue forze per arrenderti ad essa e con essa essere una sola cosa nell'abbraccio.



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Sara Ascoli
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