IL PER-DONO E LE SETTE SACRE INIZIAZIONI

Mistica cristiana e iniziazione alchemico-islamica-greco-induista alla VIA IMMORTALE


C'è un gioco sacro fatto di forme e nomi che il divino ha creato per intrattenerci: é chiamato Lila.
Lila è in ogni forma,  è la danza dei sette veli: cammino iniziatico trasversale ad ogni tradizione mistico-esoterica.
Questa sacra danza risale forse ad Ishtar, dea mesopotamica dell'amore: si racconta che il suo amato Tammuz fu rapito dalla morte, dalla dea degli inferi; fu così che Ishtar, si decise a convincere la morte a ridare la vita a Tammuz. Come in tante altre narrazioni mitologiche o archetipiche, Ishtar discese nel sottosuolo (in alchimia si direbbe V.I.T.R.I.O.L, cui si aggiungono le due lettere finali V.M., ovvero “visita interiora terrae rectificando invenies occultum  lapidem, veram medicinam”,  visita l’interno della terra e rettificando troverai la pietra nascosta, la vera medicina) e per ognuna delle sette porte che doveva attraversare per arrivare al centro era costretta a lasciare una parte dei suoi indumenti, fino a rimanere nuda al suo arrivo. Infine, decise di immolare la sua stessa vita in cambio di quella di Tammuz, ma le venne restituita insieme a quella dell’amato.
Questa danza è la storia di ogni essere che deve immergersi nell'oscurità, nella propria (l’ombra jungiana) come in quella universale, la materia o l’illusione (maya), per riscattare quella parte di sé prigioniera del sogno.
In termini alchemici si tratta di trasformare il proprio "piombo" in oro, ovvero liberare lo Spirito dai vincoli pesanti della materia.  Ma possiamo anche leggere il tutto come un risveglio dei  sette chakra o attraversare le sette sfere planetarie ( i sette pianeti sacri dell'antichità: Saturno, Giove, Marte, Luna, Mercurio, Venere, Sole. Nella tradizione indù sono invece i mondi che l'anima deve  attraversare per liberarsi: diversi modi di percepire il reale).
Interessante notare che a Foggia troviamo la Madonna dei sette veli,  un dipinto bizantino unico nel cattolicesimo, una vera e propria Iside velata.
Dunque abbiamo sette veli, sette chakra, sette mondi e sette sono i doni dello Spirito Santo, come sette i vizi capitali. Qui si delinea un importante percorso iniziatico della mistica cristiana, e non solo.
Il significato del sette per gli gnostici era quello di materia generante, e in questo senso per analogia riferita alla Madre di Dio (materia-mater) ovvero passione e morte della manifestazione (materia) come sola porta di accesso alla resurrezione. La componente divina dell’uomo viene alla luce solo dopo la sua morte al mondo delle cose, alle forme, ai nomi, ai veli.
Il velo è il simbolo stesso del superamento delle forme apparenti; ciò che va sollevato per imparare a vedere l'anima o lo Spirito del/nel mondo. Il femminile velato è, dunque, un archetipo universale (la stessa storia di Cenerentola, velata di cenere, ne è un esempio) che spinge a vedere ciò che l'occhio fisico non vede. Il velo è la porta visibile dell'invisibile: la materia da attraversare per giungere all'essenza Una. La materia danza dinanzi ai nostri occhi con i suoi sette veli: Lila si lascia giocare.
Plutarco, nel suo “ De Iside et Osiride”, riporta l’iscrizione che stava sotto la statua di Iside velata, a Menfi:
Io sono tutto ciò che fu, ciò che è, ciò che sarà e nessun mortale ha ancora osato sollevare il mio velo.”

Sollevare il velo qui significa conoscere la verità dell’intero universo, il segreto della vita, ovvero ri-velarla, s-velarla. Pertanto, non essere più mortale.
Nel mondo latino le donne che si sposavano "prendevano il velo" (ancora oggi nei matrimoni il volto delle donne è velato e lo sposo deve s-velarlo per poterla baciare) come le spose di Dio, le suore che prendono il velo; così era anche per le Vestali , sacerdotesse della dea Vesta.
Il velo copre discretamente e, quindi, ri-vela.
Come più volte affermato nel misticismo islamico, il mondo esiste poiché velato; Dio ha creato il velo affinché esistesse il mondo. Il velo è la placenta della nostra gestazione: grembo, protezione, nutrimento nell'attesa che si venga alla Luce. I Veda indiani riportano che la Dea Maya, dopo aver creato la terra, la coprì con un velo, per impedire agli uomini la conoscenza della realtà ultima. Il mondo stesso, per come lo vediamo attraverso gli occhi del nostro corpo, è il velo,  ovvero un grado della percezione.
Il velo è ciò che consente all'uomo di parlare, di dire, di dirsi, di rappresentare, di creare arte o uccidere di guerra, di desiderare e temere: parliamo del velo, parliamo del mondo, di ciò che vediamo con i nostri occhi velati, avvolti ed avvoltoi. Davanti ad una verità completamente s-velata, esposta, manifesta, ri-velata, non v'è più necessità di parlare, di dire alcunché. Giocasta, in Edipo re, dopo che ha conosciuto la verità, non ha più parole da pronunciare: lascia la scena coprendosi volto con un lembo del suo peplo.
La parola è il velo del silenzio, è la forma del vuoto, è frammento dell'infinito. Dinanzi alla verità ci si fa veri, si è uno con essa: silenti e infiniti, liberi dalla necessità di apparire; si esce di scena, non si è più personaggi, burattini, maschere. Si resta nel mondo ma non si appartiene più al mondo. Questo è il silenzio del saggio, del mistico, del maestro. In silenzio si muore: si abbandona il velo della forma, e la materia, la mater, incontra lo Spirito che ha sempre avuto in grembo.
Lo scopo del mondo dunque è velare la propria funzione, s-velare la propria natura: è danza e gioco e dono. E per-dono noi giochiamo. Ed il perdono è lo scopo del gioco.
Ma cosa va per-donato? Cosa va lasciato andare (concesso, donato completamente, appunto)?
Nella sequenza allo Spirito Santo o Sequenza Aurea (preghiera di tradizione cristiana) si dice: "Senza il tuo Spirito non c’è nulla nell’uomo senza colpa", ovvero, senza l’opera dello Spirito Santo l’uomo resta nella colpa. Vediamo in cosa consiste quest’operato, quali sono i sette doni dello Spirito.
Sapienza, Intelletto, Consiglio, Fortezza, Scienza, Pietà, Timore di Dio.
Troviamo questi doni enunciati nel Libro del profeta Isaia al capitolo 11. Di per sé i doni sarebbero sei ma attraverso la versione greca della bibbia ebraica, l’ultimo termine è stato duplicato in «Pietà» e «Timore del Signore».
Vediamoli.
Sapienza  deriva dal latino Sapio,  ovvero sapore,  come ad indicare la capacità di assaporare la vita, di riconoscerne il gusto (divino) e lasciarsene nutrire (“non di solo pane vivrà l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Mt. 4, 4)
Intelletto  significa leggere dentro, arrivare al cuore delle cose e non fermarsi alla forma manifesta. Dunque, ricevere il dono di scoprire l'essenza divina  di cui è impregnata la manifestazione tutta. Penetrare la realtà molteplice che ci circonda alla ricerca della verità Una.
Consiglio deriva da consulere, decidere. Lo spirito Santo consiglia ad ogni essere ciò che dire, ciò che fare mentre a noi sta il compito di decidere di mettere da parte la volontà personale e lasciarci vivere dal divino. Consiglio significa anche progetto: è il progetto divino riposto in ognuno di noi, ciò che siamo chiamati ad ascoltare e realizzare; ciò che in realtà siamo. Questo è il dono.
Fortezza è coraggio, costanza, tenacia nell'eseguire il consiglio ricevuto, nel portare alla luce la natura/progetto divino. È la forza del vedere oltre la forma affinché non si veda solo nella tentazione di essere un corpo mortale in un mondo materiale.
Scienza è il conoscere, cioè ottenere la vista di Dio, vedere come lui vede. Per mezzo di questo dono Dio penetra la nostra mente come noi abbiamo penetrato la materia apparente.
Pietà significa amore dei figli verso il padre, vale a dire riconoscersi figli di Dio e non corpi separati, diversi, divisi. Fratelli, tutti uguali, senza differenze di razza, cultura, di forma. Un’unica prole portata alla Luce, in crescita o in attesa di schiudere gli occhi, di perdere il velo che ci tiene separati dall’essenza divina, che ci fa percepire come altro da Dio.
Timore di Dio è, infine, la distruzione totale dell'ego.  Questo dono pone fine alla battaglia dell'ego per erigersi ad unico dio. E’ riconoscere che ogni pensiero, atto, circostanza non è frutto della propria capacità e non porta la propria firma bensì quella del Padre. È la conquista della fede e la rinuncia alla propria volontà, alla propria razionalità o ragione, al proprio sentire; ai propri desideri e paure. Saper riconoscere che ogni cosa appartiene a Dio e non rivendicare alcunché (ragioni, idee, cose, salute, persone, qualità) per se stessi.

Ognuno di questi doni è stato offerto ad ogni essere. Eppure ogni dono è coperto da un velo, porta d’accesso ad una nuova percezione di sé, del reale, del divino. La somma dei veli da sollevare è un altro “nosce te ipsum”, il “conosci te stesso”, la massima religiosa greco antica iscritta nel tempio di Apollo a Delfi; così come è l’iniziazione Dantesca della Divina Commedia; così come la si ritrova pèrsino nella fiaba di Pinocchio.
Ecco la sacra danza dei sette veli che dobbiamo per-donare, lasciare andare e restare nudi.
I sette veli, nella mistica iniziatica cristiana sono rappresentati dai sette vizi capitali, cioè  i vizi e i tormenti di colui che vuole mettersi a capo della vita, sostituirsi a Dio; rimuovere l’essere per far trionfare l’umano; incoronare l’ego, la mente, la persona e sacrificare il divino.
Il dono della Sapienza (saper gustare la vita) è velato dal vizio della gola.  E’ l’ingordigia, l'abbandono di sé al falso dio del piacere; è seguire solo l'impulso del piacere ed essere da esso agiti: “piace a me, quindi è buono” versus "è utile a tutti".
La lussuria è l’eccesso, l’adorazione dell'eccesso, quindi delle forme del molteplice in contrapposizione all’essenza UNA. Invece di penetrare DENTRO le cose (Intelletto) e scoprirne, onorarne, la Causa Una, ci si lascia abbagliare dalle forme molteplici, si è sedotti, letteralmente condotti FUORI dal proprio sé.
L’accidia è il velo del Consiglio/progetto: è il lasciarsi andare, accettare il sonno in cui siamo piombati e l'illusione della materia restando indifferenti al richiamo costante dello Spirito. Letteralmente accidia vuol dire  "senza cura" incurante, indolente e quindi, costretto a restare nel dolore, senza cura alcuna per l'anima.
La superbia copre il dono della Sapienza:  l’ego si crede Dio;  è mettere il proprio ego al di sopra di tutto e rifiutare il divino che è ugualmente in sé e in ognuno dei fratelli. Riconoscere l’altro pari a me stesso equivale ad essere umili: l’opposto della superbia.
L’invidia nasconde la Pietà:  si manifesta nella incapacità di riconoscersi uguali agli altri, tutti figli di un unico Padre; è essere sedotti dalle forme degli altri e non riconoscere l'identità. Si esprime con la tristezza e con il dolore nel constatare il bene altrui come se il bene fosse un attributo personale e non universale, divino; è separazione; è convinzione di non poter giungere alla perfezione intrinseca in ognuno di noi.
L’ira impedisce di vedere il dono del Timore di Dio: è lottare per appetito di sangue, quindi per se stessi. Difendere il proprio territorio e vedere gli altri sempre come nemici. Lottare per ciò che si considera proprio, una proprietà: idee, salute, oggetti, persone, successo, intelligenza, bellezza, status e non riconoscere che ogni cosa manifesta  invece la volontà di Dio. È attaccamento in opposizione ad accettazione (timore di Dio).

Questi i sette veli da sollevare penetrando gli inferi (V.I.T.R.I.O.L, V.M) del mondo manifesto per salvare l’anima e conseguire l’immortalità. Questo è il sacro gioco fatto di inganni e tentazioni, di forme e nomi, che chiedono soltanto di essere trascesi. Mentre l’uomo stolto vuole possederli.
Buon cammino.



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