NON SEI BUONO: MA UN BOCCONCINO PRELIBATO.
Tu credi che l’umanità abbia perso cuore e bontà. Noi ti diciamo che ha perso spietatezza.
L’uomo ha perso le sue radici animali. Con le categorie mentali di giusto o sbagliato ha perduto lo stato di necessità.
E lì sarà nuovamente condotto.
Nello stato di necessità l’uomo è impietoso come l’animale più fiero. L’azione diviene esatta!
Non giusta e non sbagliata. Necessaria.
E non c’è violenza nella necessità. Solo urgenza di compiersi.
E nemmeno conseguenza. La spietatezza mette fine a ciò che deve finire.
L’umanità soggiace all’illusione del tempo e alla procrastinazione della vita. Per questo non conosce la fine: come chiudere cicli, come apporre il sigillo.
Non conosce la morte: per questo la teme.
Teme la morte anche nella parola: non sa più dire; non sa più comunicare. Tutto è un “forse, vedremo, credo, probabilmente”; tutto è incertezza dacché avete esiliato la morte pure dal linguaggio.
“Dí sì quando è sì. E no quando è no”. È stato insegnato.
Guarda bene: l’uomo ha perso spietatezza. Non sa ruggire come un leone né caricare come un bufalo.
L’uomo rumina come una vacca.
Ha perso il valore della ferocia, dell’inesorabilita’, dell’implacabilita’. Si cura d’essere ben voluto. Solo questo lo muove.
Lo stato di necessità è il solo in grado di restituire all’uomo il suo potere: se non si avverte la morte sul collo questo stato è perduto.
Guarda bene: all’uomo non è più sufficiente sapere di poter morire per avvertire la necessità e richiamarsi a fierezza.
Siete mortali: dovreste poterlo avvertire in ogni istante.
Ma avete gli dèi: della ragione, del sapere, del controllo.
Vi affidate.
Nulla vi è più necessario poiché credete tutto vi sarà dato: dalla scienza e dai governi; dai poteri e dalle logiche annesse; dal concetto normativo di normalità; dall’illusione di speranza della cui ricostruzione perpetua incaricate un giullare di turno.
L’uomo non ha perduto bontà: ci si è sepolto.
La cruda spietatezza animale è sufficiente a ripristinare un confine vitale. Laddove non v’è confine pullula il veleno: lo stato di sopportazione.
Sappiate ruggire un “no” velenoso e tagliente!
Invece, come pavoni fate la ruota: alla morte rispondete col bisogno d’approvazione o d’appartenenza.
Vi approverà di certo. Le appartenete già.
Abbiate fame; patite il freddo; incontrate la disperazione; vivete la deprivazione; soffrite l’isolamento: recuperate lo stato di necessità quale fondamento dell’essere completo che sa dire sì quando è sì. E sa urlare no, quando è no. Abbiate territori da difendere e confini da tracciare; inverni a cui resistere e aridità da placare.
Abbiate un nemico da rispettare: che vi sia sempre maestro. Comunque lottate: non per avere salva la gloria ma viva la pelle.
Siate la ferocia del leone affamato in un mezzogiorno arido e non la condiscendenza di un agnello al macello.
Ringhiate una volta sola. O sarà un perpetuo belare.
Curate d'esser vivi e non di gustare al palato altrui: solo i bocconi piacciono.
Questa è la vostra natura: voi l'avete sepolta. Relegata nell'Ombra come vergogna o scandalo; imbarazzo o timore. L'avete seppellita sotto lapidi di disprezzo e giudizio morale; decorate con epitaffi di logiche invertebrate e accattivante lessico salvifico.
La forza vi offende; l'audacia vi ripugna; la determinazione vi scandalizza; la spietatezza vi annienta.
E della morte il sol pensiero vi uccide.
Lo stato di necessità è necessario alla Vita: riduce il caos, promuove rinascite; rinnova l'esistenza tutta. Ridistribuisce ruoli e territori; spazi e tempi e mansioni.
Ed è in ognuno di voi: come principio vitale e vivificante; istinto di sopravvivenza e volere sacro.
Dalla tolleranza nasce il suo contrario: l'intolleranza.
Dallo stato di necessità nasce l'uomo: egli non è necessario alla Vita.
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