SICURO DI ESSERE EMOTIVAMENTE INSTABILE?
Vi parlo di questo poiché credo possa riguardare molti tra voi e fare luce su un processo alchemico che tratta le nostre emozioni come se fossero delle sostanze da rendere pure.
Dopo aver trascorso lunghi periodi di sofferenza e altrettanto lunghi periodi di equilibrio, nella mia vita accadde qualcosa che mi portò a un livello superiore di consapevolezza. Constatai che improvvisamente le giornate si alternavano tra 24 ore di disperazione infernale e 24 ore di idilliaca pace e contatto con la vita.
Perché a volte si arriva a questa brusca alternanza?
Molti tra noi patiscono la stessa giostra di discese e risalite umorali più volte nel corso dell'esistenza. Ho notato, anche tra le persone che seguo nella mia attività di counseling, che la maggior parte si ritiene emotivamente instabile, ignorando il processo fondamentale e lo scopo di questo continuo movimento.
La luce si raggiunge portando a galla l’oscurità: questo è un fatto di cui molti illustri hanno già ampliamente discusso (Jung, ad esempio). E questo fatto implica che ognuno di noi, giungendo a una tappa fondamentale della vita, debba in qualche modo prendere contatto con la propria dimensione buia, con l’Ombra. Se si vuole proseguire il cammino è necessario che non si fugga a gambe levate davanti al proprio inferno personale cercando gratificazioni per scacciare il dolore o inciampando nelle chimere del pensiero positivo. Il confronto con tutto ciò che oscura la visione chiara dell’anima è indispensabile a proseguire lungo le correnti della vita.
Ma come si muove verso l’inferno?
Le emozioni, ovvero, E – movere, ci indicano che qualcosa va lasciato al proprio naturale movimento: bloccare le emozioni perché non ci piacciono o perché ci fanno sentire troppo bene, non funziona. Non si può spingere un fiume con le nostre mani. E allora, come si fa a far fluire un’emozione?
Accettandola e amandola per ciò che è in quel momento. Passerà.
All’inferno delle emozioni si scende con due luci che devono restare accese per tutto il tempo necessario: non si tratta soltanto delle luci dei nostri occhi che sono impegnati in un’osservazione priva di giudizio o di rifiuto; ci vengono in aiuto altre due luci, quella dell'amore e quella del discernimento (eros e logos). Se per amare una sensazione o un'emozione è sufficiente iniziare a non giudicarla bensì accettarla per quello che è, discernere vuol dire saper vedere chiaro tra più cose. Si tratta, dunque, di un processo che matura attraverso osservazione e sperimentazione: questo implica l’abbandono immediato delle illusioni, come delle false speranze, dei pregiudizi, delle anticipazioni di come andrà a finire o le ipotesi sulle conseguenze di una nostra azione. Stare semplicemente con quel che c’è: cuocere al fuoco delle emozioni come si cuoce sotto al sole di agosto.
A questo punto, saranno le stesse fiamme emotive dell’inferno a far proseguire il lavoro, sciogliendo con il loro calore le nostre vecchie resistenze. Allo stesso modo emergeranno le lacrime sul nostro viso portando fuori quel dolore che abbiamo avuto finalmente il coraggio di guardare. Le ondate di lacrime muovono l’emozione dal basso verso l’alto e sciolgono le maschere indossate fino ad oggi, rivelando al di sotto delle tracce di verità.
A ben vedere questo processo è già un’alternanza: discesa nell’abisso del dolore e risalita delle lacrime amare. Ogni qualvolta scendiamo nell’oceano infernale andiamo a pescare un relitto fantasma che ne occupava i fondali e lo riportiamo su, alla luce, attraverso le lacrime, per scovarne i tesori nascosti.
Ognuno di noi si è trovato a vivere questi passaggi attraverso lunghi periodi di sofferenza a cui si alternano lunghi periodi di ripresa.
Ma c’è un altro livello.
Dopo che sono emersi i relitti della storia personale (traumi, abbandoni, mancanze, paure, bisogni) è necessario procedere con una seconda fase di pulizia più accurata. Qui la discesa e la risalita si fanno molto più intense e rapide: un giorno si è sommersi tra le fiamme dell’inferno: disperazione, voglia di farla finita, senso di non valere nulla o di aver sbagliato tutto; l’indomani si afferra la luce: siamo riemersi, magari con una nuova consapevolezza. E non trascorreranno altre 24 ore che saremo nuovamente all’inferno.
E così, che si apprende a vivere in entrambe le modalità.
Pian piano, impariamo che non possiamo trascorrere un giorno intero a piangere senza fare null’altro, né possiamo trascorrere la seguente giornata a ridere magari con la voglia di uscire per divertirci. Apprendiamo a fare nel dolore così come nella gioia: apprendiamo il senso della responsabilità personale.
Con il trascorrere del tempo ci rendiamo conto che questa alternanza ci ha insegnato a “vivere comunque”: a fare con la gioia e a fare con il dolore.
È questo il punto esatto in cui ha inizio un nuovo importante processo evolutivo: la disidentificazione dalle emozioni di dolore come di gioia.
Quando giunsi fin qui nella mia esperienza personale, mi accorsi a un tratto di essere quella in cui avvenivano queste immersioni nell’abisso e queste riemersioni alla luce. Io non ero più gli oggetti con cui avevo a che fare nei movimenti di dolore o gioia. Prendeva forma in me una nuova consapevolezza: “qualcosa mi attraversa ma io sono sempre qui”.
Ed è così che, progressivamente, guadagnai uno sguardo più vivo: gli occhi non bruciavano più per il sale dell'oceano così come non bruciavano per i fumi dell’inferno; eppure neanche bruciavano alla luce del sole ogni qualvolta riemergevo dall’abisso. Potevo guardare ombra e luce con la stessa fermezza viva nello sguardo.
A forza di scendere e salire, le sostanze del basso e dell’alto si erano mescolate tra loro e in me e, finalmente, la coscienza poteva prendere una giusta distanza: non c’era più separazione tra l’oblio del dolore o l’entusiasmo della gioia. Percorrere e ripercorrere più volte quella misura che separa due sostanze così apparentemente incompatibili è come scuotere una bottiglia in cui acqua e olio sembrano voler restare separati: dopo un numero sufficiente di movimenti, le sostanze si amalgamano e non sono più identificabili come sola acqua o solo olio.
Siamo in presenza di una nuova sostanza.
Ugualmente io non ero più identificata con le mie forze inconsce. Mi ero trasformata in un’osservatrice, una testimone dell’esperienza senza più doverla soffrire, giudicare o rifiutare. Ero diventata la testimone e non più l'oggetto di emozioni tempestose che mi tiravano in basso o mi spingevano in alto.
Ecco che l’apparente instabilità emotiva si rivela, per chi sa restare e non fuggire, come un imprescindibile processo di integrazione delle parti di Sé.
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