QUANDO L'AVVERSARIO È UN ALLEATO

Molti di noi hanno disperso e ancora disperdono gran parte delle loro energie lottando contro un avversario visibile o invisibile.


Un avversario visibile è, solitamente, una persona vivente che fa parte della nostra esistenza e che, in qualche modo, riteniamo che l’abbia ostacolata e lo stia ancora facendo. 


Può essere un genitore, un partner o un ex, un capo, un vicino di casa, o chiunque a cui riconosciamo, seppur inconsapevolmente, le caratteristiche dell’autorità.


E, quindi, del limite.


Ma anche una malattia può rappresentare un avversario visibile: una condizione che ci affligge e che sentiamo stia limitando la nostra espressione, la realizzazione di noi stessi oppure, che riteniamo possa complicare l’accesso ai nostri diritti naturali: essere amato e amare; ricevere le attenzioni necessarie; avere un testimone della nostra esistenza (su questo tema importantissimo, tornerò presto); impegnarsi nelle proprie responsabilità; offrire cura al proprio ambiente, etc..


Un avversario invisibile è una questione più complessa.


Può trattarsi di una figura ormai idealizzata che non è più presente nella nostra vita: forse deceduta (un genitore, ad esempio) o forse lontana nel tempo e nello spazio (un ex con cui non abbiamo più nulla a che fare). O semplicemente, qualcuno cui abbiamo attribuito le caratteristiche di un’autorità schiacciante: un ideale estetico, professionale, caratteriale, di successo, con cui confrontarci. 

Questi ideale può avere un nome e cognome; può essere la somma di caratteristiche di più personaggi o persino, può essere l’immagine idealizzata di noi stessi. 

O, ancora: le fantasie sulle aspettative altrui nei propri confronti. 

Ma anche un aspetto, una tendenza della nostra personalità, un automatismo insomma, può rappresentare un elemento contro cui ingaggiamo un duello o da cui ci sentiamo aggrediti.


L’avversario, presente o immaginato, arma un duello contro di noi.


E questo, fa di lui un alleato.


Vediamo perché.


Il duello e lo scontro impegnano la nostra forza, la presenza, il coraggio; la necessità di mostrarci e di rischiare; di prendere o difendere una posizione.

La battaglia attiva il nostro potenziale oltre i confini abitudinari: risveglia l’ingegno e l’astuzia.


Nello scontro riconosciamo noi stessi: quanto abbiamo conquistato e quanto resta per cui combattere; vediamo le nostre paure e attaccamenti; i limiti in cui sino ad oggi abbiamo creduto e ceduto. 


Poiché in guerra è tutto lecito, finalmente ci autorizziamo a essere ciò di cui più ci vergogniamo: non avevamo mai osato vederci sleali, meschini, vendicativi, subdoli, manipolatori, rancorosi, invidiosi, violenti, maligni. Adesso scopriamo che possiamo essere anche questo. 


Eppure restare noi stessi.


Ma non si esaurisce tutta qui l'offerta che fa di un avversario un nostro alleato. 

Seppure questo sia già molto.


Lo sfidante ha una peculiarità: si colloca sempre in uno spazio vuoto, lasciato incustodito; di cui non siamo o non siamo stati abbastanza consapevoli; che abbiamo trascurato e che non sappiamo curare; un ambito in cui non esercitiamo presenza, a cui non offriamo l’attenzione di cui siamo realmente capaci.


L’avversario ci spinge a “scendere in campo”: a collocarci al centro di un’arena che reclama la nostra consapevolezza.


Eppure, questo spazio in cui ora ci troviamo a combattere, sembra non appartenerci. Ci appare come lo spazio proprio allo sfidante! 

È lui il signore di questa terra oscura: è il genitore che intrappola il mio passato; è l’ex che imprigiona la mia fiducia; è il capo che costringe le mie abilità; è la malattia che incatena la mia creatività; sono le abitudini/dipendenze che bloccano il mio coraggio; sono i modelli che possiedono la mia autostima; etc.


Questo territorio in cui dobbiamo combattere ci appare ignoto: non nostro.

C’è un voto di consapevolezza e comprensione: davvero non sappiamo come muoverci.


È proprio questo vuoto, questa mancanza percettiva, che sino ad oggi ci ha impedito di curare un territorio nebbioso e annetterlo al nostro regno.

Non sapevamo come guardarlo, cosa vedere, dove cercare, come muoverci.


È il vuoto di un lutto, della fine di una storia, di un dolore o di un confine che non ha ancora un nome. Ma ancora di più è il vuoto di conoscenza di noi stessi: “chi sono? Perché questo mi fa paura e quest’altro no? Qual è il senso della mia esistenza? Da cosa devo liberarmi? Cosa devo ancora conquistare? Quali sono i miei meccanismi inconsapevoli e quali i miei reali moventi? Questi desideri che ho, appartengono davvero al mio cuore o, piuttosto, li ho appresi dall’ambiente, dal passato, dalle mie stesse paure?”


L’avversario diviene il nostro alleato quando ci spinge a combattere in questi territori senza nome fino al punto in cui si conquisti l’abilità di nominare propriamente ogni elemento sino allora ignoto.


È allora che la battaglia non è più mera dispersione di energie che distoglie da sé stessi, bensì conquista di sé.


#SiiReale

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