LA REGIA DEGLI SPECCHI




Siede timidamente nel mio studio e avvia la narrazione:


frequenta un uomo da tempo e sta notando in lui un gioco di rimandi e riverberi.


“Mi fa da specchio”, dice.


Sondo il terreno per valutare se ho di fronte una brava lettrice o una con esperienza:


“Intendi dire che agisce con i tuoi stessi modi?”, chiedo.


“No. Le motivazioni sono le stesse”, precisa.


“Bene”, mi dico: “è una donna d’esperienza”.


E così iniziamo un lavoro avanzato con gli specchi.


Cosa vuol dire che qualcuno ci rispecchia?


Tanto s’è scritto e detto sull’argomento che parlarne ancora pare superfluo.


Oppure no.


Quando dico che il mondo appare nella nostra mente vengo ancora tacciata come una new age: 


“sto ripetendo ciò che sostiene quella che tu chiami scienza” spiego con calma. 


La retina è come una pellicola fotografica sulla quale viene catturata la luce che qui è  trasformata in impulsi nervosi. Questi, tramite il nervo ottico vengono inviati al cervello dove vengono sviluppate le immagini.


Ognuno di noi, esseri luminosi, ha sviluppato un’immagine di una retina, la quale, cattura impulsi luminosi e li trasforma in impulsi nervosi grazie all’immagine del nervo ottico, il quale, a sua volta, li invia all’immagine del cervello, dove si sviluppano altre immagini. 


È chiaro?


Noi abbiamo sviluppato un’immagine di ciò che sviluppa le immagini.


Ma “noi” chi?


Non è quel “noi” pure un’immagine sviluppata a partire da altri impulsi luminosi?


E, se, dunque, il perciepiente (colui che percepisce) è alla stregua del percepito e del percepire: dove sono io e dov’è il mondo? 

Chi sono io e cos’è il mondo?


Il sistema visivo capta una serie di impulsi e li invia al cervello. Questo assembla le informazioni raccolte e ne fa un quadro. 


Il mondo nasce qui dentro, nel cervello: non è là fuori.


Ora, il punto è che “qui dentro” è anch’esso un’immagine che si forma in un altro “dentro”. Ma è un discorso troppo complesso per questa sede: fermiamoci alla frase precedente:


Il mondo nasce e appare dentro, nel cervello: non è là fuori.


Un Lila induista che amo molto dice: “L’universo è lo specchio in cui si riflette il Sé”.


Il mondo che vediamo riflette la nostra immagine: ci fa da specchio.

E anche se molti tra voi continuano a incolpare il mondo di crisi idriche, geopolitiche e calcistiche; del troppo traffico o del caro carburante, si troveranno d’accordo con la frase che ho appena scritto: solo per averla già letta e sentita milioni di volte.


Ma senza aver riflettuto sull’ovvio.


Ci arrivo.


Il mondo, i fatti, le circostanze che viviamo ci mostrano aspetti di noi stessi, istanze interne, lati Ombra, intenzioni inconsce, e così via. È un fatto che il mondo non sia un luogo oggettivo bensì un modo di farne esperienza interiore; di fare esperienza di noi stessi: il mio mondo è altro dal tuo e viceversa. 

L’inferenza con cui l’immagine del mio cervello assembla (percezione) gli impulsi luminosi ricevuti (acquisizione) e li elabora (interpretazione, ovvero ciò che ci pare di vedere) è diversa dalla tua. 


Eppure la Luce è la stessa!


Dunque, l’immagine del mio mondo appare dentro l’immagine di me stessa ma l’immagine di me vede il mondo al di fuori di sé; pur tuttavia consideriamo l’immagine di noi stessi contenuta nell’immagine del mondo.


Fin qui ho perso almeno 24 lettori.


Mi appresto a perdere gli ultimi tre che sono riusciti a seguirmi fin qui.


Ormai siamo in pochi e possiamo quasi definirci intimi: non ci ascolta più nessuno per cui possiamo finalmente dire le cose come stanno e non ci occorrono più nemmeno le virgolette.


Vedo che annuite.


Ci state che il mondo appare in noi?

Bene.

Ci state che siano solo impulsi luminosi a cui la nostra mente dà una forma, una misura e un nome?


Vi vedo incerti sulla questione della materia solida: ve lo ricordate che l’atomo (quel minuscolo corpo che costituisce la materia) è, in ultima istanza, composto da vuoto ed energia?


Se togliessimo tutto lo spazio vuoto nell’atomo, tutti i 6 miliardi di abitanti della Terra starebbero nello spazio di una mela, dice il lettore abbonato a Science!


A questo punto, quando, poniamo il caso, in una relazione tra due persone, entrambe concordano di farsi da specchio l’un l’altra, chi è l’immagine riflessa? Chi dei due è reale?


Confusione e borbottio tra i tre lettori.

Due di loro trattengono il terzo che stava per andare via.


Sono entrambi immagini riflesse, mi dicono.


Di cosa sono il riflesso? Ribatto.


Della Luce, fa uno dei tre mentre gli altri due gesticolano come per dirsi che lui è stato il più veloce e ce l’avevano entrambi sulla punta della lingua.


I due amanti che si fanno vicendevolmente da specchio sono il riflesso della Luce, sintetizzo per eventuali lettori postumi.


Annuiscono (i presenti, non i postumi).


Dunque, la sorgente reale è solo la Luce?


Non sanno se annuire.


Quindi siamo tutti riflessi di un’unica sorgente luminosa?


Stavolta annuiscono (non ho capito perché prima no!).


Vediamo un po’: se qualcosa che si percepisce come l’immagine di una donna, si percepisce pure come il riflesso dell’immagine di un uomo, o, viceversa, percepisce lui come riflesso di sé, allora queste immagini sono interscambiabili e sovrapponibili, quanto meno nelle loro motivazioni essenziali.


Riflettono lo stesso raggio di Luce, alza la voce il lettore che prima stava per andarsene.


Bene, dico io.

 Immaginate ora un raggio di luce che provenga dall’alto, come un faro. Va a proiettarsi su uno specchio. Questo specchio rifrange nel mondo il raggio di luce da cui è stato colpito e, al contempo, riflette il mondo ovvero, appare sulla sua superficie l’immagine del mondo che riceve il raggio rifratto dallo specchio stesso! 

Lo specchio diventa ciò che proietta nell’istante contemporaneo alla proiezione stessa (dov’è il tempo allora?)


E noto che sono rimasti solo due lettori.


Se, a questo punto, ponessimo di fronte al nostro specchio solitario un altro specchio: cosa accadrebbe?


I due lettori si guardano negli occhi: fermi gli uni dentro gli altri. Muti.


Uno specchio rifletterebbe l’altro specchio in cui riflette se stesso all’infinito, prosegue il mio ragionamento.


Entrambi gli specchi ricreano l’immagine di sé nell’altro e dell’altro in sé. In tal modo le immagini vengono riprodotte in serie e all’infinito. Un solo raggio di luce si moltiplicherebbe illimitatamente nella puntuale replica di sé stesso.


Mi accorgo che siamo rimasti io e il mio lettore imbarazzato.


Chiunque può aver incontrato almeno una volta, nel corso della propria esistenza, un altro essere che gli è parso facesse lui proprio da specchio. Se così non è stato sino a oggi, posso dirvi che è soltanto perché non avete osato guardare e guardarvi.


Questo gioco di infinite immagini a perdersi è ciò che comunemente viviamo: ogni giorno, ogni istante.


Le nostre vite si svolgono come un copione che va in scena: sempre il medesimo, solo un po’ più in là negli anni. E poi ancora più in là. Quanto più in là osano andare i riflessi dei due specchi frontali.


Ognuna delle immagini che si replica sulla superficie di uno specchio è una copia: copie di copie. Così come copioni a memoria sono le nostre esistenze inconsapevoli.


Ma cosa copiano le copie e i copioni?


La Luce. Il raggio. Fa il mio lettore.


Ognuno di noi è una copia, un riflesso, di un raggio della Luce e ognuno può vedersi riflesso sulla superficie del mondo che percepisce o in un’altra copia a umana immagine incontrata per caso.


Io e il lettore imbarazzato ci guardiamo: io sono un’immagine che appare nella sua testa e lui è un’immagine che appare nell’immagine della mia testa.

Entrambi siamo parte dell’immagine del mondo che pure è nelle rispettive immagini dei nostri cervelli.


La donna seduta nel mio studio ha appreso che bisogna specchiarsi in ogni immagine del mondo.

Riflettersi in un unico amore, in un solo modo di vivere o essere, implica di rifrangere un solo raggio della Luce.


La Luce è infinita.


Rifletterne un solo raggio implica che ognuno di noi (o immagini di noi) proietti sempre la stessa copia: l’esistenza diviene un copione.


La donna nella poltrona comprende che bisogna apprendere a attraversare gli specchi per liberarsi dall’inganno delle forme apparenti.


Anche un’idea è una forma.

Persino una motivazione è una forma.

Lo è un’emozione.

Pure un impulso o un tremito, un brivido, una paura o un desiderio, sono forme.


Siamo impulsi luminosi imprigionati tra specchi che si copiano gli uni, gli altri. E che nell’inganno moltiplicano a infinito l’unico Raggio.


Se si apprende la magia del riconoscersi in uno specchio di foglia o d’uomo, di sterco o di sale, si può apprendere a varcare lo specchio.


Se si varca lo specchio, si smette di essere immagini.


Ma se non conosci te stesso: come puoi riconoscerti in altre, in tutte le immagini e poi attraversare lo specchio?


Buona Visione

  

#SiiReale

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