LA CESSIONE DELL'OMBRA
“Se mi esprimo costringo l’altro”
Capita non di rado, nel mio studio, di incontrare persone ormai convinte che se esprimessero a un conoscente la propria sensibilità o un proprio bisogno, di fatto costringerebbero l'altro a fare, dire o provare una certa cosa.
Questa ideazione, in realtà, costringe soltanto loro a sabotare la propria emotività e i propri bisogni, nonché la capacità di comunicare in onestà e profondità d’animo.
Ne risultano delle relazioni noiose, sterili e superficiali in cui ciò che si comunica è una sorta di “aggiornamento degli ultimi tempi”.
L’autoconvincimento relativo alla possibilità di forzare l’altro attraverso la propria espressione è, in fondo, solo una strategia difensiva a garanzia dei confini che delimitano la propria zona di comfort.
Nessuno di noi ha veramente il potere di forzare la condotta altrui se non in caso di vicendevole o tacito accordo.
Ognuno di noi gode, suo malgrado, di responsabilità personale: io sono responsabile di ciò che provo e che dico ma non dell’effetto che le mie parole avranno sull’altro.
La scelta di tacere il proprio sentire o i bisogni, risponde piuttosto all’inespressa volontà di rifiutare un confronto con le parti più profonde di sé: di vedersi per ciò che si è.
L’interlocutore, l’altro, è lì solo per fare emergere questi aspetti sommersi di sé stessi.
In una certa misura i propri aspetti interessano anche l’altra persona ma di certo, non possono limitare la sua libertà in nessun modo.
Del resto, anche l’altro potrebbe aver bisogno di noi per lasciare emergere i propri lati nascosti e conoscersi meglio.
Chi nasconde dietro una finta responsabilità (“non voglio condizionare l’altro”) la decisione di sabotare l’espressione del sentire (tramite cinismo, indifferenza, manipolazione, distacco, menzogna, omissione, etc) in realtà sta proprio eludendo la responsabilità personale: evita di prendersi cura di un proprio bisogno e, quindi, di sé stesso.
Presto o tardi, quel bisogno tornerà in forma proiettiva: deve essere visto; lo chiede.
E, pertanto, poiché non è stato possibile vederlo dentro noi stessi, sarà visibile all’esterno: come un abito che non osiamo indossare e quindi cediamo a una cara amica.
Sarà un’altra persona a formulare nei nostri confronti quella richiesta che non abbiamo osato pronunciare e, molto probabilmente, ne saremo infastiditi: suonerà in noi come una pretesa ma non perché lo sia!
L’equivalenza “bisogno=pretesa” è solo nella nostra mente ed è lì come guardiano della soglia affinché non si oltrepassi il limite in cui ci siamo confinati.
1)Cosa accadrà, a questo punto, tra noi e l’amica che veste bene il nostro abito usato?
Ci sentiremo traditi, feriti, non riconosciuti e usati.
L’amica ha solo interpretato un aspetto della nostra ombra: ciò che non osiamo vedere in noi stessi. E, per questo motivo, dovremo cancellarla dalla rubrica dei contatti!
2) Cosa accadrà al nostro corpo dopo aver eliminato un suo segnale?
Lo rivedremo affiorare molto probabilmente come sintomo.
Dopo aver eliminato un aspetto del proprio sentire, siamo costretti a eliminare ogni condotta, circostanza, situazione o persona che ci metta di fronte a quanto non desideriamo vedere di noi stessi.
Poco a poco, eliminazione dopo eliminazione, sabotaggio dopo sabotaggio, censura dopo censura: la nostra vita diviene dolorosamente misera e sterile.
Eppure non si tratta di un punto di non ritorno; abbiamo ancora un asso nella manica: possiamo scegliere di confrontarci con le nostre zone buie e lasciare emergere la vergogna, la paura di non essere accettati o di essere sbagliati; il bisogno di essere visti, apprezzati, riconosciuti, amati. La propria sensibilità.
#SiiReale

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