UN INDIVIDUO SANO PARTE DA QUESTA INTEGRAZIONE
L’esperienza e la sensazione di sentirsi “utili” per qualcuno è un balsamo potentissimo.
Molti non ne sono coscienti ma è proprio la mancanza di questa esperienza che causa sofferenza interiore.
Quando non troviamo un senso alla nostra esistenza e ci pare di vivere a caso, a ripetizione, INUTILMENTE, stiamo sperimentando proprio quella mancanza.
La sensazione di sentirsi inutili è molto sottile: potremmo viverla eppure non riconoscere un desiderio di fare del bene al prossimo o aiutare un amico.
Non è così semplice.
L’aiuto concreto offerto a un altro può alleviare per un po’ il proprio malessere: tutti abbiamo provato quella gioia che deriva dal prestare soccorso o prendersi cura; tanto più intensa quanto meno interessata! È letteralmente vivificante!
Ma non basta. Non ci è bastata per stare meglio, per guarirci dal malessere che portiamo segretamente dentro di noi.
Quando veniamo privati di un ruolo in cui ci sentiamo utili a qualcuno avvertiamo fortemente quel dolore di perdita: lo si sperimenta facilmente a livello professionale (dagli insegnanti ai sanitari, ai professionisti del benessere ma vale per ogni lavoro in cui ci sia data l’opportunità di essere davvero utile a qualcuno); ma anche un genitore sa quanto sia doloroso non potersi più prendere cura di un figlio.
Qualsiasi forma assuma l’aiuto che offriamo in una interazione, esso è in grado di elevare immediatamente il nostro stato energetico.
Cosa conferisce questo potere all’atto della cura?
Offrire aiuto concreto traduce differenti esperienze energetiche.
Innanzitutto, il benessere della persona a cui abbiamo alleviato il peso di un disagio fa eco in noi stessi, a prescindere che ci sia stata riconoscenza o meno.
Ma, ancora di più, quello che sperimentiamo nel sentirci utili è il venire meno dello stato di isolamento in cui perennemente esistiamo.
Ed è questo che ci manca quando ci sentiamo inutili: ci manca l’esperienza primaria e fondante dell’unione con l’altro o con la vita; ci sentiamo isolati e per questo inutili.
Dietro il senso di cura si nasconde il senso di unione che ogni essere umano è sempre spinto a cercare: dalle relazioni, all’amore, al sesso, al senso di appartenenza, alle fedi religiose, sportive, politiche, ideologiche. Tutto questo (e molto altro) simula soltanto quel senso di unione primario da cui tutti proveniamo e di cui ognuno ha fatto esperienza almeno una volta: nel grembo materno.
È lo stesso motivo per il quale ci disturba tanto un’opinione o un sentire differente: ci sentiamo separati e ciò che appare diverso ce lo ricorda. Pure nella ricerca di condivisione stiamo cercando un surrogato di quel senso unitario la cui mancanza è spesso un dolore straziante (ma poco riconosciuto).
L’insostenibilità dello stato di separazione è tale da indurci un attaccamento qualsiasi: a un oggetto, una persona, una sostanza, un ricordo, una convinzione, un ruolo, un’identificazione, una paura, una malattia, uno status, un gruppo. Sono meri sostituti ma in qualche modo e per qualche tempo funzionano.
Almeno fino al prossimo vuoto.
Il senso di separazione ci getta immediatamente in uno stato di ansia, di paura, di mancanza di sicurezza: come un bimbo strappato dalle braccia della mamma.
Ma non abbiamo l’umiltà di riconoscerlo.
Il senso di unione è il prerequisito per la vita: si viene al mondo da un’unione (l’atto sessuale) e si cresce in unione (il grembo materno).
Fuori dal senso di unione la vita perde di significato poiché l’unitarietà è il suo senso.
Potremmo vivere un’intera esistenza alla ricerca del grande amore, del successo, del potere o di sentirci utili e l’avremo spesa nella ricerca del senso di unione, seppur a nostra insaputa.
Divenire consapevoli del grado di dolore che stiamo vivendo in uno stato mentale di separazione è fondamentale per smettere di fingere bisogni e attaccamenti che ingombrano le nostre mediocri esistenze.
Tuttavia, ammettere il bisogno di unione è un tabù nell’attuale ordine mondiale: espone a fragilità troppo umane e annienta la logica che abbiamo implementato per distruggere quanto di più squisitamente umano ci fosse in noi.
Comunque, il primario bisogno di unione non si realizza all’esterno, verso un prossimo da curare. C’è un forte senso di separazione che portiamo dentro noi stessi: tra le parti maschile e femminile; tra il bambino e il genitore interni; tra luce e ombra.
È da qui che si inizia a ripristinare il senso di unione, lavorando per riconoscere prima e avvicinare poi, le parti costituenti la nostra natura duale.
Senza aver pacificato il nostro bambino interiore con il giudice, il genitore e l'adulto interiorizzati vivremo inevitabilmente uno stato di conflitto e separazione.
Un individuo sano parte da questa integrazione.
“Quando farete dei due uno, e quando farete l’interno come l’esterno e l’esterno come l’interno, e il sopra come il sotto, e quando farete di uomo e donna una cosa sola, così che l’uomo non sia uomo e la donna non sia donna, quando avrete occhi al posto degli occhi, mani al posto delle mani, piedi al posto dei piedi, e figure al posto delle figure allora entrerete nel Regno.” (Tommaso 22).
#SiiReale

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