ACCETTAZIONE: LE TRE FASI

 

Sento spesso dire: “ormai ho accettato questa situazione”.


L’accettazione ha indubbiamente un valore inestimabile per il benessere e per l’evoluzione. 


Alcuni hanno sentito dire e altri hanno avuto modo di fare esperienza del fatto che l’accettazione è la base della trasformazione: affinché qualcosa cambi va accettata per ciò che è.


Ciò su cui dubito è la reale comprensione del significato dell’accettare.

Ho spesso l’impressione che questo accettare di cui tanto ci si riempie la bocca non sia altro che rassegnazione o tolleranza travestita da buone letture.


Rassegnazione indica il mettere se stessi nelle mani altrui (persone, destino): è una delega, non una volontà.


Tollerare indica l’azione con cui si sostiene un peso preso su se stessi.


Accettare indica un’intenzione a prendere con sé: lo voglio!


Potremmo considerare i tre termini come distinte fasi di un’evoluzione che coerentemente ci conduce a trasformare qualcosa che inizialmente abbiamo rifiutato (un lutto, un dolore, una persona, un lavoro, un compito, un difetto, una condizione, etc.) in qualcosa di totalmente nuovo.


Dopo un nostro forte rifiuto per una qualsivoglia circostanza, può capitare che la vita ci batta così violentemente da indurre in noi il senso della rassegnazione: è sicuramente l’inizio di una nuova fase ma ancora siamo lontani dall’assistere a una trasformazione.

Quando siamo rassegnati stiamo delegando ad altri o al fato tutto il nostro potere: è come dire “sarà quel che sarà; ho raggiunto il mio limite e non posso fare più niente. Mi adatto: non ho alternative”.

La rassegnazione ha un valore: poiché nasce da una profonda stanchezza a lottare contro condizioni esterne, induce un ritiro delle nostre energie dal mondo per rivolgerle all’interno. Si smette davvero di lottare contro l’aspetto apparente delle cose per rivolgere l’attenzione al nostro stato interiore. Solitamente è connotata da stanchezza e tristezza. Nella rassegnazione c’è molta osservazione.


Dopo aver macerato bene in questa fase, si procede alla seguente: la tolleranza. Qui fa capolino un briciolo di volontà e di responsabilità personale. Finalmente si decide di farsi carico di una condizione che per noi è ancora gravosa: malvolentieri, beninteso, ma senza l’intenzione di cambiare ciò che non è gradito. Lo sopportiamo come si sopporta un dolore a una spalla o un capo esigente: senza odio e senza più farne l’unica battaglia (rifiuto) o l’unica sconfitta (rassegnazione) della nostra esistenza. Questa fase comporta spesso il senso della frustrazione: è un’oscillare tra il senso del dovere (tolleranza) e il senso del piacere per qualcosa che non abbiamo ancora trovato. 


Dopo aver stabilizzato l’equilibrio nella tolleranza, siamo finalmente pronti per passare alla fase dell’accettazione.

Qui incontriamo la nostra volontà: nasce un’intenzione, quella di stabilire una relazione con la condizione inizialmente non accettata. Sorgono domande del tipo: “cosa posso fare/ cosa posso farci con questa situazione?; come posso estrarre il meglio da questo? Come posso volgerla a mio favore? Cosa c’è di bello in questo?” 

Dopo aver preso il carico della tolleranza, emerge l’intenzione di vedere oltre il fardello, di dare un senso nuovo, di scorgere l’opportunità sinora nascosta.

È qui che la frustrazione tra il senso del dovere e quello del piacere inizia a sbilanciarsi verso il secondo polo, illuminandolo:  è così che nasce la relazione con quanto inizialmente rifiutato.


Questa relazione è assolutamente volontaria: vogliamo davvero trovare un nostro spazio, un nuovo modo di vivere e di essere pur mantenendo quella circostanza inizialmente indesiderata. C’è coraggio, persino entusiasmo e forza. Soprattutto, c’è creatività; si intuiscono possibilità.


Curando la relazione e la ricerca di un modo tutto nostro di stare esattamente dove siamo, poco a poco nasce l’amore: iniziamo ad amare ciò che un tempo abbiamo odiato, rifiutato e combattuto.

Ed è con questo amore che le circostanze possono finalmente cambiare.


Come vediamo, accettare è ben altro che arrendersi all’evidenza sgradita o sopportarla mal volentieri. 

L’accettazione chiama in campo l’alleato migliore: l’amore e, pertanto, comporta la trasformazione dal conflitto alla relazione e dalla relazione alla fusione.


Ciò che un tempo era un uno contro uno, “io contro il mondo”, diviene relazione:  dapprima “io e il mondo”, poi “io insieme al mondo”, per finire con la fusione o integrazione. 


Cosa avviene nella trasformazione o integrazione finale? 

Accade che si consegue un nuovo talento, una capacità. La vera trasformazione, manco a dirlo, è avvenuta dentro di noi: abbiamo appreso qualcosa che prima non sapevamo; ora abbiamo un potere. Può trattarsi di un saper fare, o un saper essere; di qualcosa in più ma anche di qualcosa in meno, ovvero che non abbiamo più necessità di fare o di sembrare. 

Il conflitto con l’odiato capo esigente l’abbiamo osservato talmente bene che presto diviene sopportazione della severità sino a livellare la nostra compiacenza e maturare in noi stessi la capacità di esigere. A questo punto il capo può restare al suo posto o trasferirsi: in qualunque modo non subiremo più le sue esigenze poiché avremo appreso a esercitare e amare le nostre.


#SiiReale

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