ESSENZA O ASSENZA
Poiché l'identità (confini/limiti del sé) è la barriera tra questo mondo e il Sé, o l'Astratto, tenere le emozioni senza oggetto è uno dei passi fondamentali del lavoro sull'Essenza dello Spazio o Vuoto.
L'identità è al contempo la barriera e anche ciò che forma e riempie il mondo: è l'assenza dello Spazio.
La vera natura della mente è precisamente al di là di questa barriera.
L'immagine del sé, (questi confini) determina sempre la successiva esperienza di sé stessi, dell'ambiente e persino di ciò che siamo capaci di pensare.
Al di là delle ipotetiche sofferenze che questa immagine comporta, in ogni modo limita l'esperienza e la crescita dell'individuo più a fondo di quanto possa mai credere.
L'individuo è avvezzo all'attribuzione di ogni sentire a un oggetto: in tal modo si illude di rivendicarne la proprietà quando invece dichiara la propria sudditanza in una dimensione duale.
In questo brano di Eric Baret si parla della Tristezza: della Tristezza Reale, non di quella personale.
Quanto scritto qui per la Tristezza vale ugualmente per altre emozioni di cui i più sperimentano solo il riflesso.
"La tristezza è una delle emozioni profonde e bisogna tenerla senza oggetto. La tristezza o malinconia è uno dei sentimenti essenziali. Una specie di presentimento di tranquillità. Profondamente, è sentire che ciò che si ricerca non è raggiungibile in situazioni oggettive.
Quando arriva una forma di maturità, questa tristezza è costantemente lì perché, qualunque cosa faccia, so che non troverò quello che fingo di trovare.
La tristezza in questo senso è una forma di maturità.
Quando si conosce questa tristezza, non si può più innamorarsi. Innamorarsi sarebbe fingere, ancora una volta, che potrò trovare qualcosa da qualche parte, il che è impossibile nella maturità. In questa tristezza non rimane più spazio per l'attesa di una qualsiasi soddisfazione nel mondo obiettivo, nel mondo fenomenico.
Quando vedo chiaramente che nessuna situazione fenomenale potrà mai soddisfarmi, vivo con questa constatazione, questa tristezza diventa un presentimento. Non è più la tristezza di qualcosa che manca, ma è come un profumo a cui poco a poco il naso si abitua.
All'inizio il profumo è nello spazio, non si può sentire da dove viene, poi a poco a poco si intuisce la sua origine.
Quando si ha la maturità di mantenere la tristezza, si verifica una certa risalita alla fonte. Ma le persone che costantemente negano la tristezza, che si innamorano, che vanno in estasi per questo o per quello non possono mai risalire alla fonte. Hanno questa intuizione sul momento e poi negano la sua autenticità pensando di nuovo che una relazione, che una situazione, che qualcosa .... arriva un momento in cui non si nega più questa tristezza.
Non c'è niente che possa farci andare avanti. Che cosa sta succedendo è la stessa cosa. Non c'è più dinamismo intenzionale. C'è un dinamismo organico, perché la natura della vita è l'azione, ma non c'è niente che ci sta muovendo verso qualcosa. In quel momento questa tristezza diventa una vera tristezza. E si rivela essere una strada, come un fumo che si segue, che porterà a ciò che è previsto... diventa una nostalgia.
Ma il minimo tradimento di questa nostalgia, pensare che questo o quello mi soddisferà, mi riporta alla confusione.
Secondo l'approccio indiano, la tristezza è il sentimento finale. E' il sentimento della separazione. Tutta la musica indiana è fondata sul senso della separazione.
L'emozione di base è la tristezza. Questa tristezza non lascia spazio per qualcun altro, nessun posto per innamorarsi di qualcos'altro.
Questa tristezza brucia tutte le situazioni oggettive. Nessuna attesa è possibile... in quel momento questa tristezza si trasforma in maniera alchemica in presentimento non obiettivo. Non c'è direzione a quel presentimento che diventa un modo di vivere, che non lascia più spazio per un dinamismo di andare da qualche parte, aspettare, sperare. Questa è la vera Tristezza.
Ma finché si è tristi di qualcosa, triste perché qualcosa non è 'qui o è successo qualcosa, si nega questa vera tristezza. Allora restiamo incollati alla tristezza, che diventa una forma di veleno per il corpo,
per la psiche, per il pensiero. È in questa convinzione che non c'è niente per me nelle situazioni oggettive che questa tristezza si trasforma in presentimento.
Non c'è nulla da fare per questo, è una maturazione. Non posso maturare volontariamente, ma posso rendermi conto della mia non maturità. Posso rendermi conto che sono costantemente attratto da questo, da questo, che costantemente cerco di creare una relazione, di mantenere una relazione, di sperare una relazione, di voler fermare una relazione, di volere questo, di volere quello, di trovarmi così, di pensare che alla fine, forse quando avrò fatto questo, raggiunto quello, andrà meglio. È una pretesa, una negazione della sensazione profonda che non c'è nulla che possa soddisfarmi. Quando nego questo presentimento aspettando qualcosa la vita è miserabile. Quando vedo chiaramente questo meccanismo dentro di me, allora la tristezza non è più triste. Diventa un presentimento, un digiuno del cuore.
La comprensione che non c'è niente per me nel mondo obiettivo è un digiuno del pensiero. Ma la cosa più importante è il digiuno del cuore: la tristezza.
Non mi cerco più nell'emozione. L' unica emozione che voglio è questa tristezza e questa sensazione. Non ci sono ramificazioni oggettive, nessuna direzione per me...
Essere aperto alla tristezza è la fedeltà alla realtà del momento. Sbarazzato di tutti i suoi attacchi intenzionali, questa tristezza crolla nel nostro ascolto. Fedeltà senza oggetto all'essenziale. Lacrime di gioia." (Éric Baret)
#SiiReale

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