L’INGANNO NELLA SOLITUDINE

 


Non sono molti, eppure ci sono.


E sono tra noi.


 L: Finalmente mi è stato chiaro il lavoro fatto assieme, Sara: ho compreso cosa sia la solitudine.


S: sono tutta orecchi.


L: per anni, come sai, ho creduto di essere solo. Questo mi faceva soffrire non poco. E sono arrivato da te dopo aver tentato qualsiasi cosa per “nonesseresolo” …te lo dico come se fosse una parola unica: nonesseresolo. E, insieme, abbiamo compreso che era soltanto l’altra faccia della medaglia che mi portavo pesantemente appesa al collo.


S: si. Eri ancora nel pendolo tra solitudine e non solitudine. Il che rappresenta appena una variazione di grado: un centimetro più in là e sei solo; un passo nell’altra direzione e sei “menosolo” …tutta una parola, come dici tu.


L: Gia’. La prima scoperta sensazionale fu quando capimmo che a me non bastava avere compagnia o una compagna. Il problema non era quello come ero stato condizionato a credere. Tutti la pensano così: “se ho amici , famiglia o un partner non mi sentirò più solo”. E invece tu mi travolgesti dicendomi che era proprio la solitudine a strappare via affetti e partner!! Cioè …la solitudine era la causa della perdita e non l’effetto! Questa per me fu una lampadina accesa sulla testa: stile fumetto!


S: mi ricordo. La questione divenne, a quel punto, scoprire con i tuoi “occhi” cosa fosse la solitudine ora che ti accorgevi che non poteva essere ciò che eri stato indotto a credere.


L: oh, sì esatto. Dimenticavo questo punto fondamentale. Per mesi ho dovuto riscrivere e cancellare e riscrivere e cancellare la definizione di solitudine. Ogni volta che scrivevo qualcosa mi rendevo conto che l’avevo sentita dire, l’avevo letta, ne avevo visto nei film … e tu mi bocciavi: “la devi vedere tu, L. Queste sono solo voci di corridoio”. M’hai assillato co' sta frase!!


S: sai che non ti chiederò scusa per l’assillo (ridiamo)


L: porca miseria, non devi. Anzi…

(Lunga pausa)

Sara, è tosta davvero togliersi di testa e dal cuore le definizioni apprese in 40 anni. Cazzo! Io vivevo di definizioni!


S: vale per tutti, L. Tutti vivono di definizioni: nomi e forme, ricordi?


L: si, la lezione sulla Genesi. 

Insomma, a un certo punto ero senza definizione ma la soffrivo ancora sta belva. Poi tu mi aiutasti ad andare in vacanza da solo un fine settimana. Mi faccio il week end, torno a lavoro e dopo un giorno riparto: altri 4 giorni da solo. Ritorno e riparto dopo due giorni. Insomma, mi sono fatto un mese e mezzo! (Ridiamo). 


S: ti sei sentito solo?


L: mai! 


S: (sorrido ma forse erano lacrime trattenute)


L: ma non avevo ancora compreso cosa fosse la solitudine. Avevo solo capito che non derivava dallo stare solo e che quindi erano cazzate apprese. Poi inizio a vedere gente, così senza un reale intento: un po’ capitava e ci stavo bene. Torno in solitudine e sto ancora bene. Una sera faccio le tre con un amico a bere e dire cazzate: non è stata una bella serata ma una serata come tante, in cui però ho bevuto. Ormai, come sai ho uno stile di vita da monaco tibetano. Mi sveglio l’indomani ed ero solo! Ero nuovamente e dannatamente solo.


S: bingo! Ho proprio il sentore che tu ci sia arrivato.


L: penso proprio di sì. A quel punto tento di giustificarmi con la stanchezza fisica: “poco sonno e birre” mi dico, “sono solo a pezzi”. 


S: razionalizzi …


L: altri nomi e forme, no?


S: (annuisco)


L: e infatti non mi sono convinto da solo. Vago per casa per due giorni come uno zombie nel deserto: solitudine sui muri e nei lavandini; dentro al frigo: solitudine; faccio un bagno e la vasca si riempie di solitudine con le bollicine di sapone. Hai presente che dico?


S: perfettamente, L.


L: e quella stanchezza, pesantezza, come la solitudine fossero catene agli arti…


S: devitalizzazione.


L: esatto! Ma prima non lo capivo. Non la sentivo così. Quando prima mi sentivo solo non mi accorgevo di essere devitalizzato come un molare! (Ridiamo) Perché prima non lo capivo? Questo me lo devi dire!


S: (ancora ridendo) te lo dico. Perché avevi la definizione sociale di solitudine e non potevi vedere oltre: la definizione è un muro nel cervello, ti blocca la visione.


L: mi è chiaro. Ma mi è chiaro perché l’ho vissuto, altrimenti non c’avrei capito un caxxo!


S: mi è chiaro anche a me (e continuiamo a ridere. L’energia è sempre più alta).


L: quindi ... arrivo al punto in cui capisco che sono devitalizzato: non sono solo! E questo è stato un trionfo. Ma non avevo energie per celebrare sta cosa. Allora ricerco la listina di voci che avevamo fatto assieme: quella per alzare l’energia. La ritrovo nel mio caos e inizio a praticare dalla prima all’ultima! 

Tre giorni, Sa! 

Tre giorni così e non sento più la sol…la devitalizzazione. 

Là ho capito... (pausa)


S: la suspense mi sta uccidendo (ridiamo)


L: non trovo parole degne ... : te la dico così come mi viene, poi tu la scriverai meglio…


S: ah, no. Io la scriverò come ti viene (risata grossa di L).


L: mi viene così: quando ho l’energia buona, sana, io sto in comunione con tutto… tutto, Sara! Non esiste la solitudine: proprio non esiste. È tutto perfetto. Non bello: giusto, così come è. Io cammino e il mondo mi segue o mi accompagna. E pure questo potrebbe essere una parola sola: "iocamminoeilmondomisegue".

Quando sono devitalizzato, ho perso tutti i legami con il mondo, con la vita…. (Pausa) ti do un’immagine. Pronta?


S: pronta (siamo serissimi).


L: ho questi fili attaccati ovunque lungo il corpo: alcuni partono dalla pelle, dalla superficie; altri partono da dentro: dal fegato, dalle viscere; da dentro! Sono fili. E questi fili sono legati a tutto il mondo: a cose, persone, idee, natura, situazioni … a tutto, pure al passato. A tutto. 

Finché sono legati, cioè legano me e il mondo, io sono integro. Sono vitale. E il mondo che vedo è vitale come me. Questo perché non hanno peso questi fili: il peso che avrebbero si annulla perché tengono insieme me e il mondo. E mentre ci tengono assieme, io e il mondo li portiamo insieme: siamo in armonia. Ognuno fa il suo; ognuno porta ciò che deve e non c’è peso per nessuno. 

Quando perdo vitalità, energia, questi fili diventano catene: pesano un accipicchia. E dall’altro capo delle catene non c’è niente: non c’è la vita. Solo catene (Pausa).

E ora che ne parlo mi chiedo: come si sente il mondo quando io smetto di fare il mio, di portare i fili, di lavorare insieme? Perché io lo vedo: quando i fili diventano catene, pure il mondo non è più vitale…(L. mi guarda o forse guarda ancora la sua immagine).


S: è una bella immagine. Molto chiara.


L: la vedo proprio. È così. L’ho vista con i miei occhi, questa.


S: sì. Non dovrò più assillarti.


L: allora ora ti posso dire che cos’è la solitudine. 

È uno stato di devitalizzazione. 

E non è naturale. 

Non è naturale per tutta una serie di motivi che dovremo discutere la prossima volta…non è naturale, Sara!


S: da dove viene?


L: è voluta. 

È programmata. 

Vero o no che è programmata?


S: vero.


L: ne riparliamo: giura!


S: (rido) ne riparliamo, sicuro. Ma non giuro, io.


L: lo so (ride).

Allora, la solitudine non si chiama solitudine ma devitalizzazione: bassa energia. 

E non è naturale: è come un incubo da cui non riusciamo a svegliarci. E soprattutto, non ha nulla di emotivo, nulla di psicologico e nulla a che fare con le situazioni della vita. È solo una questione energetica!


S: bingo. L.!


L: bingo, sì. Perché adesso io lo so tu che mi stai per dire: ormai ti conosco un po’ pure io (sorride)


S: questo è il bello della relazione.


L: è vero. È proprio bella (sorridono i suoi occhi).


S: quindi che sto per dire, L? (Ridiamo)


L: tu diresti: “ora che hai fatto il lavoro sull’etichetta della solitudine, fallo con tutto il resto” (risata a crepapelle di entrambi). 

C’ho preso, coach?


S: (continuando a ridere) ammazza se c’hai preso! Eccome!


#SiiReale

Commenti