"STARE BUONI, SE POTETE. TUTTO IL RESTO È VANITÀ"
Gran parte del dolore che ognuno serba nelle proprie tasche ha origine dalla mancanza di ascolto.
Dalla mancanza di ascolto: ricevuto, sì. Ma anche offerto.
Offerto sì: all’altro.
Ma anche a sé stessi.
L’ascolto è la prima forma di comunicazione che si apprende.
Ed è la prima che si mette via.
Ecco, credo che l’ascolto sia la prima arte a cui si è iniziati poiché è quella che richiede maggiori competenze e, dunque, un tempo lunghissimo per essere appresa e padroneggiata.
L’ascolto senza il sentire è poca cosa: pure preziosissima.
Ma saper sentire ciò che si è ascoltato è roba da giganti immersi in un tempo gigante che scandisce il ritmo in un territorio vastissimo.
Perché?
Perché per sentire ciò che si è appena ascoltato è necessario molto tempo e molto silenzio: la fretta è nemica; gli impegni sono avversari; il ritmo mondano, un tiranno; i pensieri sono un esilio.
Per sentire bisogna dilatare ogni senso e ogni poro: farsi da parte e asciugare una seduta per posarsi.
Sentire l’altro è come saper ascoltare la neve che cade: è una necessità umana.
Arte e onore!
Non si dovrebbe iniziare a parlare se non c’è un tempo da fermare.
E neppure si dovrebbe se non c’è vastità sufficiente a depositare a terra tutto il non detto da sentire.
Con ciò che si sente ci si potrebbe arredare un nuovo intimo Universo.
Se dovessi eleggere dei luoghi per parlarsi e ascoltarsi, nominerei le radure, le praterie, i monti e le colline, le spiagge invernali, i boschi, le distese candide o cristalline; il silenzio degli occhi.
“Tutto il resto è vanità”.
Sciaguratamente, oramai, l’ascolto è troppo spesso il grande assente.
In sua vece fa bella mostra il “non ti voglio sentire” accompagnato dal suo fedele compare “conflitto”.
“Non ti voglio sentire” si offre ad amici, amori, parenti, come omaggio di benvenuto e premura di ospitalità.
Non è che ce l’abbiamo con loro ma è che proprio non abbiamo tempo per ascoltarli e sentirli.
Del resto anche noi non siamo e non siamo stati ascoltati.
Perché dovrei prendere dentro me un po’ ti de?
Perché dovrei comprenderti?
Per fame.
Alcuni (alcuni!) tra noi hanno dentro, tra le altre, una voce d’anima: è questa che va ascoltata e sentita.
Del resto, è la sola che abbia qualcosa da dire.
“Tutto il resto è vanità”.
L’anima è inascoltata, incompresa, non riconosciuta: affamata.
Molto spesso lo è, poiché denutrita.
Il solo modo che abbia per saziarsi consiste nella risonanza: nell’incontro di una voce identica; nell’ascolto sentito che amplifica se stesso nell’altro e l’altro in sé. Avviene come quando la brezza sposa il profumo dei fiori e ne amplifica l’essenza: e non c’è più brezza, né più profumo, ma aria vivificata.
La risonanza può trovarsi in un luogo, in un libro, un petalo, nella sfumatura d’un tramonto; nel dorso d’uno scarabeo; in una melodia; in un silenzio; in un altro essere.
Per chi ha una voce d’anima da intendere, l’ascolto sentito è vitale.
La sua assenza è un disagio indescrivibile. Non c’è canto di dolore che ne possa narrare le ferite.
Tutti desideriamo essere ascoltati. E tutti dimentichiamo di sentirci e di ascoltare.
E tutto ciò che si dice, vien detto per non sentirsi. E indaffararsi è come dimenticarsi d’essere.
Quanto più tace una voce tanto più uno sguardo è loquace.
Ma gli occhi si perdono dentro il frastuono delle vocali e guardarsi, sentirsi intimi, scuote i seni gravidi della vergogna!
Vocalizzare se stessi è una narrazione di cartone: va bene per le vendite brevi.
Sentirsi invece, è capitalizzare il sostegno all’anima: arredarle un senso di vastità in cui possa abitare.
In assenza di tutto quell’ascolto, di tutto quel sentire, dello spazio vasto e del tempo silente, l’anima soffoca e la mente delira.
"State buoni, se potete".
State zitti se ascoltare non potete.
E se v’è pena di non sentire niente che non vocalizzazioni erudite, ascoltatevi in silenzio: come in un grembo.
“Tutto il resto è vanità”.
#SiiReale

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