TANATOSI: simulare la morte (Alchimia degli istinti)

 

La maggior parte di noi è convinta di agire, di portare avanti un’azione precedentemente scelta.


Questa convinzione risponde a una buona dose di ottimismo.


In verità è molto raro che si agisca. Nella stragrande maggioranza dei casi noi reagiamo:

a tutta una serie di stimoli già dati in passato; a ciò che conosciamo o presumiamo; a idee di noi stessi o dell’altro; a un sistema di credenze; al dictat della convenienza o della sicurezza; a scariche ormonali e neutrasmettitori; a provocazioni d’ego e risonanze; a bisogni di controllo e desideri; etc.


In poche parole reagiamo a ciò che ci aspettiamo di trovare; a ciò che avremmo voluto trovare; a come crediamo che le cose sarebbero dovute andare; a ciò che più temiamo accada.


Abbiamo a che fare con un meccanismo che non può essere semplificato constatando che non siamo qui e ora, che non siamo nel presente.


La domanda da porre onestamente a sé stessi è: dove sono in questo momento in cui re-agisco? 

A cosa sto re-agendo?


Re-agire è letteralmente agire di nuovo, quindi re-citare: ripetere a memoria qualcosa; ri-vivere a memoria qualcosa.


Quindi, mi trovo nella mia memoria (e molto probabilmente la sto proiettando fuori da me, addosso a un povero malcapitato).


Ma nella mia memoria dove?


Nell’amigdala, precisamente. Nella sede inconscia degli istinti e delle pulsioni. 

Sono questi gli emissari del nostro inconscio. Re-agiscono segretamente attraverso le loro 3 strategie di sopravvivenza.


Possiamo modificare  il nostro vocabolario, l’intonazione e la gestualità; persino le circostanze sembrano differenti e i nomi e i volti dei personaggi coinvolti: ma il copione è il medesimo e noi stiamo re-citando una re-azione che ci ha fatto sentire al sicuro quando avevamo piu o meno 2 anni!


Agire presuppone una certa libertà e un qualche grado di autodeterminazione.

Ciò significa essere liberi dal passato, ovvero dall’inconscio: ciò che è passato convive al nostro fianco fintanto che rimane inconscio. 

E le nostre pulsioni istintuali hanno precisamente questa funzione: di mantenerci in uno stato inconsapevole davanti all’aggressione (presunta o reale) della vita. 


Avete presente il martin pescatore che quando e’ impaurito istintivamente tende i muscoli fino allo spasmo come se fosse morto già da tempo?

I nostri istinti attuano lo stesso meccanismo. 


Sono istinti di sopravvivenza. Si sono formati in un’epoca in cui tutto per noi era una questione di vita o di morte. Si sono formati perché ci siamo sentiti morire dentro. 

Si ripetono ogni giorno re-citando quella morte.


E così il faint, la tanatosi (simulare la morte, da Thanatos, per gli antichi greci la personificazione della morte) è il meccanismo che salva la vita, o piuttosto, la sola sopravvivenza. 


Oltre a un irrigidimento muscolare (che per quanto percepito è sempre altamente sottostimato) la tanatosi pulsionale messa in atto dall’individuo inconscio comporta un distacco dall’esperienza reale: troppo dolorosa la ri-evocazione delle nostre terrificanti memorie inconsapevoli.


La tanatosi serve anche a catturare prede oltre a sfuggire il predatore e, in effetti, i nostri istinti spaziano dalle strategie di fuga e quelle di attacco: entrambe accomunate dalla medesima motivazione di salvare la pelle laddove la pelle è già stata ferita mortalmente in un lontano passato.


La pulsione inconscia di sopravvivenza immobilizza o comanda una re-azione meccanica; blocca il respiro; riduce l’attenzione; ci induce a simulare incomprensione o distrazione (fingiamo di giocare con il telefono o di essere sovrappensiero pur di non incrociare sguardi) per attuare condotte evitanti in alternativa all’immobilizzazione o alla fuga. 


Come fa l’animale, così l’uomo, inconsapevole preda dei suoi istinti, tenta di ingannare la percezione visiva di chi ritiene un predatore.

 A volte, però, individuiamo il predatore proprio in noi stessi, in un’altra istanza interna a noi, come, ad esempio, il giudice interiore. Allora la situazione si complica ancora di più poiché dobbiamo ingannare la nostra stessa percezione!!! 


Il movimento indica vitalità: un animale vitale è un buon pranzetto nutriente per il predatore. Di contro, l’immobilismo rimanda alla putrefazione del cadavere: di certo poco nutriente se non alimento.

Ecco, la re-azione istintuale è l’annullamento della vitalità: una putrefazione psicobiologica, una pulsione (inconsciamente) di morte seppur attuata per salvarsi la vita da una minaccia che non è presente se non nella nostra memoria.


Agire  e scegliere implica essersi liberati da questo meccanismo inconscio: avere una percezione vergine e non già condizionata o determinata dall’amigdala, il deposito delle memorie implicite. 


L’azione è frutto di una percezione strutturata nei nostri centri di coscienza  superiori e di una loro integrazione.


Un primo passo per connetterci con le nostre facoltà creative di agire è l’osservazione delle proprie pulsioni adrenaliniche: paura, evitamento, attacco o fuga e bisogno di sicurezza.


SiiReale

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