UCCIDERE L'ANIMA CON UN DIARIO


In ogni percorso di crescita che sia realmente tale, terapeutico o evolutivo (sebbene spesso le due qualità siano coincidenti) si perviene a una tappa in cui si apprende a slegare i processi interiori da quelli esteriori.


Si perviene dunque a ritirare le nostre proiezioni dal mondo.


Ora, quando si parla di proiezioni si è abituati a credere che la proiezione sia l'attribuzione di una nostra caratteristica all'altro.

Anche. 

Ma non solo.

Su ogni nome o forma noi effettuiamo una proiezione.


Abbiamo nelle tasche un diario tutto scritto per la parola: scarpa, allenamento, giudice, maestra, nuvola, stelo, verme, vagina, dente, etc.


Per ogni parola abbiamo pagine e pagine di significati attribuiti, di storie ed eventi, impressioni e conferme, delusioni e rimpianti, impossibilità o gratificazioni.


L'insieme di tutti questi diari, ognuno scritto su una sola parola, si chiama: persona.


Quello sei tu.

Quella sono io.


O, meglio, sono le idee che abbiamo di noi. 

E prontamente le proiettiamo nel mondo.


Fino a quando noi teniamo annodati stretti questi due ordini di processi, interiori e esteriori, siamo in grado di dare apparenza alla nostra sostanza interna. 


Qualsiasi fenomeno metterà in scena un certo numero dei nostri diari.


Non importa quale esperienza io faccia: finché ho un'idea di me, ai miei occhi il mondo andrà sempre in una direzione di conferma.


Tutto ciò ha una conseguenza ben precisa: la vita è bloccata dai miei diari; io non riesco a fare esperienza di nient'altro al di fuori di ciò che già so (o credo di sapere) di me stessa.


 La vita scorre a memoria.


Mi è persino difficile capire qualcosa di diverso. Anzi, ciò che è diverso dalle mie sacre scritture diviene un nemico, una minaccia alla mia integrità.


Poiché la mia integrità è fatta di questo: di nomi e forme che io ho dato al mondo affinché sia a mia immagine e somiglianza.


Quando si apprende a ritirare ogni proiezione dal mondo e a sciogliere i nodi che legano i processi interiori a quelli esteriori, si giunge a riconoscere la Sostanza (ultravioletto) nell'Apparenza (infrarosso): tutto è illuminato. 

Qui non c'è più ombra alcuna che non operi per la Luce.


 Questo è lo stato di Abbondanza.


Non c'è più IO. C'è la Vita. È lo stato di non-dualita' in cui non sono IO ad apporre la firma in calce su ogni esperienza: la Vita scorre tra gli argini. Io non sono il fiume, sono gli argini che lo onorano e lo testimoniano.


Le cose, le sensazioni, non sono più corrispondenti a una nomenclatura prefissata. La vita non è un accordo con il mio passato: non è più costretta a ripetersi.


Liberare la vita dal giogo della ripetizione vuol dire sciogliere le proprie proiezioni.


Per arrivare fin qui, bisogna essere disposti a sentire la vita. Non a nominarla bensì a sentirla. 


Non ciò che so ma ciò che si sente.

E si sente nel corpo.


Non è affatto una disposizione semplice.

Io sono IO poiché per la parola "caldo" ho scritto un diario di memorie negative. 

Se mi accingo a fare esperienza del "caldo" invece di rileggere il mio diario: chi sono?


Smettere di rileggere i miei diari mi annienterebbe in un solo istante.


Questo il cane di Pablov lo sapeva bene: e continuava a salivare.


Bando alle ciance di tanta New Age: il passaggio dalla sopravvivenza all'Abbondanza è distruttivo.

È l'Opera al Nero degli alchimisti.

È rinuncia.

È sacrificio. O Sacro fare.

È mortificazione.

È la morte dell'Io granitico e monolitico (tanto più nella tradizione Occidentale).


L'Ego e tutte le idee di sé stessi, le nostre rappresentazioni mentali, non saranno mai disposti a sentire la vita: loro sanno già tutto. E tutto è così come lo sanno.

Non c'è spazio per la vita nei nostri diari.


È per questo che abbiamo un'Anima.

Per questo dentro di noi c'è un'istanza invisibile, capace di vedere oltre il già visto.

Per questo ce ne innamoriamo sempre.

Per questo si risveglia in noi la sensazione di poter essere altro o che la vita sia altro.

Per questo osiamo fuori dal comfort, oltre l'ultimo punto apposto sull'ultima pagina del nostro diario.


Per questo, a tratti, siamo vivi.


#SIIReale

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