NELLA BOLLA A MEMORIA



Tutti viviamo nella memoria, ripetendo, attraverso i nostri istinti, i copioni di sofferenza o sopravvivenza che ruotano intorno alla nostra ferita sacra, originaria.


Tutti viviamo a memoria: se ne può essere consapevoli, accettare il dato e procedere all’osservazione dei copioni per rinvenire la sacra ferita; oppure si può perseverare nell’inconsapevolezza e assecondare la natura inconscia degli istinti.


Giacché tutti viviamo a memoria, la nostra sensibilità è estremamente ridotta: non guardiamo veramente; non ascoltiamo veramente; non amiamo veramente.


Non ci siamo, veramente: esitiamo a memoria.


La strategia di sopravvivenza degli istinti è così rapida ad entrare in azione che ci lascia inermi dinanzi al momento presente. 

Non si può esercitare la presenza fintanto che non venga effettuato un lavoro di sublimazione degli istinti.


I nostri tre istinti hanno i loro copioni con cui entrano in scena nostro malgrado: non c’è il tempo di pensare, di sentire, di provare o scegliere.


 È un riflesso meccanico che implica lo stordimento della sensibilità umana.


Così desensibilizzati non abbiamo modo di incrementare la nostra vitalità, né tantomeno di entrare in relazione con l’altro o, peggio, con noi stessi.


La prima operazione da compiere è accorgersi di essere completamente incapaci di vivere nel presente.


La seconda consiste nella scoperta del meccanismo istintuale che opera in nostra vece.


Essere nel presente vuol dire sentire: avere impressioni e sensazioni. Non emozioni. L’emozione sorge dopo aver pensato e giudicato la sensazione: e pensiero e giudizio ricadono all’interno dei copioni istintuali, riportandoci a re-citare il passato.


Corpo e sensazioni (energia in movimento) offrono la possibilità di radicarci nel momento presente e, quindi, di stabilire una connessione o relazione con ciò che c’è .


L’istinto, per sua natura, opera nella direzione opposta: isolarci per proteggerci da una ferita che si è già consumata nei primi mesi di vita; che non è attuale seppur aleggi costantemente intorno a noi poiché chiede di essere vista.


Sentire di non essere in grado di sentire è già un primo passo fondamentale per liberare la sensibilità imprigionata dalla velocità istintuale: è, finalmente, un’apertura alla vita.


È infantile e oltraggioso chiedere piu denaro, salute, passione, divertimento se non si è ancora in grado di sentire semplicemente ciò che c’è.


E c’è la propria incapacità a sentire!


La cosa più grave del vivere a memoria è che questo produce ancora più memoria: ingombra l’anima come una cantina polverosa in cui continuiamo a stipare oggetti che già abbiamo ma accatastati sull’inarrivabile parete di fondo. 


Ogni volta che non offriamo spazio vitale a una sensazione, che non ci accorgiamo di dove si stia spostando nel nostro corpo; di come si muova nei muscoli, quel sentire inconcluso e inespresso non scompare ma si deposita dentro di noi, come un detrito.


L’attenzione consapevole alla sensazione o all’impressione, un’attenzione priva di giudizio o rifiuto, equivale, invece, non solo a fare scorrere via quel preciso istante, bensì ripulisce la nostra cantina da tutti i doppioni relativi a ciò che abbiamo provato.


Va da sé che l’ordinario vivere istintuale e inconscio possa essere paragonato a un uomo che continua ad acquistare frigoriferi per stiparli tra la polvere del suo scantinato. Tornato tra le mura della sua abitazione, si lamenta di non avere un frigorifero e corre a comperarlo per poi riporlo, nuovamente, in cantina. Nuovamente frustrato.


Nella consapevolezza e nel sentire, ogni esperienza si dissolve naturalmente e non lascia traccia, non accumula polvere.


Accumulare il passato significa automatizzare un’esistenza senza mai aprirsi alla vita. Senza mai neppure scoprire cosa significhi vivere.


Per sentire la vita bisogna essere a mani vuote: non si può accarezzare un volto se tratteniamo robe tra le dita!


Ora che sappiamo tutto questo, non ha più nemmeno senso stupirci di tanta desensibilizzazione di massa, di tanta indifferenza.

Non ha senso puntare sull’altro l’unico dito libero di una mano mentre tratteniamo rifiuti!


Non ha neppure senso archiviare in una memoria virtuale o corporea questo scritto: creare altri detriti tra polvere e pattume.


Ha senso, invece, muovere quel primo passo e accorgersi, in ogni istante, che non stiamo sentendo.

#SiiReale

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