PERFETTAMENTE IMPERFETTA: storia di F.

 



Nel counseling integrato* di cui mi occupo da oltre 20 anni, al centro dell’essere umano si colloca il sé psicosomatico.


Questo sé collega, in ogni istante, ogni nostro processo somatico e istintuale alle rappresentazioni psichiche.


Le nostre immagini mentali, le credenze, le idee di noi stessi, hanno una forte base materiale collegata ai tre istinti di sopravvivenza.


L’uomo è, prima di tutto, corpo, istintualità animale e vitalità biologica. Mentre nell’animale gli istinti stinti si traducono immediatamente in azione, nell’uomo danno luogo a rappresentazioni mentali, analoghe per significato, alle strategie animali di sopravvivenza.


Le immagini mentali, per quanto sofisticate possano apparire, hanno origine nei bisogni istintuali-affettivi del corpo. Così ciò che definiamo destino è la risultante delle relazioni inconsce istintuali e psichiche.

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Veniamo al quadro presentato da F, una donna di 40 anni che non riesce a smettere di bere caffè e alcol, nutrirsi di dolci e fare uso di eccitanti.


F. è una donna molto colta, bella e giovanile; è una dentista affermata al punto di aver deciso, nell’ultimo anno, di ridurre i giorni di lavoro per riservare spazio ad una delle sue attuali passioni: il surf. Altri interessi a cui si dedica al momento sono la danza acrobatica e il tiro con l’arco. Afferma di non aver mai provato a impegnarsi in una relazione profonda né aver mai pensato di diventare mamma poiché questo la priverebbe della sua libertà.


F.  cerca il mio aiuto poiché afferma di sentire l’impulso irrefrenabile di essere sempre su di giri, soprattutto se in compagnia.


Questo stile di vita è stato adottato in modo inconsapevole per tutta la sua esistenza fin quando, un nuovo compagno, non le ha fatto notare quanto questo modo di vivere fosse “infantile”.


F. sostiene che la propria incapacità a contenersi ha condotto alla rottura della relazione: “forse aveva ragione lui: so stare soltanto su di giri, ridere, scherzare e ironizzare. Non riesco a muovermi in altre dimensioni o ad altre velocità. Se non vado a 100 all’ora ho l’impressione di essere ferma. Non ricordo di essermi mai soffermata su qualcosa o aver rallentato.”


Nei primi incontri non posso fare a meno di notare come F. eviti accenni alla sua famiglia di origine pertanto, lo faccio presente e, finalmente ottengo risposte.

F. è la secondogenita. La sorella maggiore non ha mai appreso a camminare, affetta sin dalla nascita da una grave patologia che l’ha portata alla morte all’età di 22 anni. 


Con F. concordiamo di operare avvalendoci dell’Enneagramma, del lavoro sugli istinti e di meditazioni dinamiche.


In pochi incontri, F. ricostruisce un vissuto emotivo e sensoriale che non aveva mai avuto modo di esprimere nella propria infanzia. 

Per ottenere l’amore e l’attenzione dei propri genitori, naturalmente molto concentrati sulla sorella, F. ha offerto loro lo spettacolo che era mancato sino alla sua nascita: una bimba vivace, allegra, con una salute che sprizzava gioia da ogni poro e super atletica!


L’istinto di sopravvivenza che aveva mosso l’infanzia e l’adolescenza di F. era stato vincente: così le pareva. 


I genitori erano amorevoli e sorridenti con lei e non le hanno mai messo un limite.


O così le pareva.


Quando avviamo un lavoro corporeo sul sentire e sulle emozioni, F. scopre il grande limite implicito: non si è mai sentita autorizzata ad esprimere il proprio lato oscuro né, tantomeno, è mai stata cosciente dell’enorme sforzo richiesto a una bimba che ha dovuto interpretare un personaggio per colmare un vuoto nella vita dei propri genitori. Per non parlare del successivo lutto che F. non ha mai elaborato, sempre per non turbare la quiete famigliare.


 L’istinto inconscio di sopravvivenza, sviluppatosi in tenerissima età, è divenuto la base di una passione e di un carattere di cui, oggi, F. è prigioniera.


Proseguiamo il nostro lavoro sull’espressione corporea e analogica del dolore muto e F. va incontro a tutta una serie di contratture e stiramenti che la costringono a fermarsi fisicamente per due mesi. Inizialmente minimizza, come era suo solito, ma poi prende coscienza e afferma: 


“questa era la mia invidia. Io invidiavo mia sorella! Il fatto di avere mamma e papà a disposizione h 24 mentre io ‘potevo uscire’… o ‘dovevo’ uscire poiché ero di troppo? Era la mia invidia che per anni mi ha bloccato la vita nell’illusione di muovermi e di essere libera ma così ferma in superficie e arida nel cuore. Oggi la sento e la riconosco nel corpo e ho tutti i muscoli bloccati!”


Passiamo in rassegna tutti i suoi vissuti di invidia e F. riesce a muoversi dall’asse orizzontale degli eventi, in cui si attacca l’invidia a circostanze tangibili e visibili, a quello verticale, in cui l’invidia è solo un sentire e, in quanto tale, va sentito con un senso di responsabilità personale.

Dopo aver maturato la responsabilità del proprio sentire, F. si spinge ancora più in là e riesce ad apprezzare l’invidia come un sentire universale: 


“se non avessi scoperto e compreso oggi questa storia dell’invidia, non avrei potuto dire di aver amato mia sorella: quanta invidia avrà provato lei per me e per le mie gambe? Non mi sono mai fermata (“fermata”) a sentire questa cosa. L’invidia esiste come esisteva mia sorella: che male c’è nell’invidia?”


“Nessuno” le dico: “è umana. È un istinto anche quello.”


“E’ vero. Credo che per un po’ mi vanterò di essere invidiosa” mi dice ridendo. Ho compreso cosa intende e sono complice del suo gioco.

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Oggi F. non sente più il bisogno di eccedere con stimolanti di ogni genere per stare su di giri. 

Ha lasciato la danza acrobatica e il tiro con l’arco e si concede dei lunghi weekend per surfare e anche per non fare nulla. Riesce, quasi sempre, a entrare in contatto con il suo dolore a cui, dice, se ne è aggiunto un altro: “ora piango perché credo che non potrò mai essere madre e invidio le donne con i bimbi piccoli in braccio”.


 *Biosistemico, gestaltico, fenomenologico esistenziale.


#SiiReale

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