INDISPONIBILITÀ EMOTIVA

 16 PUNTI PER SCOPRIRE SE HAI A CHE FARE O SE SEI UNA PERSONA EMOTIVAMENTE NON DISPONIBILE



È grazie alle emozioni che ognuno di noi può connettersi all’altro e al mondo.

Attraverso la competenza emotiva, ovvero la capacità di riconoscere, nominare, esprimere e regolare le emozioni (etim. emovere, trasportare fuori) è possibile conoscersi e comprendersi (etim. prendere insieme, contenere in sé) l’un, l’altro.

Peraltro, il grado di competenza emotiva è ormai riconosciuto come fattore determinante la qualità delle relazioni.

Cosa vuol dire, dunque, essere emotivamente disponibili?

Vuol dire saper agire le proprie competenze emotive per costruire relazioni.

Avere una competenza emotiva implica saper esprimere e spiegare all’altro il proprio sentire, in modo coerente tra verbale e non verbale, e attraverso una forma espressiva che garantisca la comprensione altrui: è importante saper almeno valutare se si ha di fronte un individuo mentale, viscerale o emotivo. Di fatti, ogni tipologia di persona predilige un linguaggio e un grado di comprensione pertinente al proprio carattere così come al proprio istinto dominante.

Altrettanto importante è saper intendere ciò che l’altro sente.

Questo può essere molto difficile se: 1) non siano consapevoli nemmeno di ciò che noi stessi proviamo; 2) siamo troppo concentrati su di noi a causa di ansie o ferite di cui non abbiamo ancora osato prenderci cura.

La comprensione che offriamo all’altro dice: “ti riconosco; sei importante; voglio venire verso di te e accogliere il tuo movimento verso me”.

Al di là del grado di conoscenza o complicità che può esserci tra due persone, la competenza emotiva che si mette in atto, realizza un terreno comune tra persone. Ugualmente, saper esprimere ciò che si sente, colloca immediatamente la comunicazione a un livello molto profondo e solido: è ciò che fa la differenza tra parlare e comunicare (mettere in comunione).

Facilitare l’altro nella comprensione di ciò che sentiamo in profondità esplicita la nostra intenzione a essere scoperti, a incontrarci. A queste competenze va aggiunta quella di saper regolare il proprio stato emotivo (intensificarlo o raffreddarlo) in orientamento allo scopo che ci si prefigge.

Non tutti però sono emotivamente disponibili: esistono le persone emotivamente non disponibili. Per di più, questi individui spesso sono anche inconsapevoli di esserlo.

 Nel mio lavoro come Counselor ho avuto modo di notare come, troppo spesso, si lamentino le condotte di un partner senza aver mai sospettato di avere a che fare con un individuo non emotivamente disponibile.

Queste persone non costruiscono terreni di incontro e non sono neanche disposte a lasciarsi accogliere nei territori altrui.

Cerchiamo di comprendere, dunque, alcuni tratti delle persone con indisponibilità emotiva.

1) Non riescono ad esprimere emozioni, sensazioni, sentimenti così come hanno difficoltà a comprendere quelli altrui. Non sanno provare emozioni complesse al di là dei convenevoli. Fuggono dalla vulnerabilità (questa è la chiave di ogni tipo di legame) innalzando muri d’orgoglio.

2) Evitano argomenti profondi, intimi. Evitano proprio di parlare di cose reali: preferiscono discorrere di calcio, meteo, notizie, politica, affari, social, pulizie domestiche, denaro. Parlano di cose e mai di COME vivono le cose. Se con loro si prova a sollevare un problema reale, potrebbero andare sulla difensiva e attaccare facendoci sentire stupidi, troppo sensibili, troppo impegnativi, per aver percepito o ingigantito un problema.

3) Evitano l’intimità in generale: non sanno dare o non danno un nome alle relazioni di amicizia o d’amore (anche le relazioni famigliari sono d’amore o dovrebbero!). Non vogliono un legame autentico. Questo si ripropone anche dal modo in cui gestiscono la relazione d’aiuto (Counseling): esprimono la necessità di allungare molto gli intervalli tra un incontro e l’altro; non vogliono mai andare a fondo nelle questioni che emergono; si giustificano sempre dicendo che non sono mai pronti; quando si tocca un nodo cruciale, se la danno a gambe levate sostenendo che in questo periodo hanno altre priorità, o non hanno tempo/denaro (vedasi punto 6).

4) Hanno difficoltà a ricevere emozioni profonde, amore o aiuto dagli altri: accade anche nelle relazioni terapeutiche o di crescita personale.

5) Non si rendono conto che il loro atteggiamento evitante verso l’intimità è causa di emozioni negative nell’altro.

6) Mantengono le distanze. Può trattarsi di un messaggio a cui rispondono sempre molte ore o giorni dopo; si sottraggono agli incontri con la scusa di essere troppo indaffarati (chi non lo è oggigiorno?); disdicono gli appuntamenti all’ultimo minuto; sono in ritardo cronico e scappano via troppo presto; non amano fare progetti; sono incostanti e vaghi (“forse”, “vedremo”, “ora non saprei”, “dipende”, “ni”, “si, però , ma, non proprio …” etc). Seppur ci fosse una frequentazione regolare, sembrano voler fare sempre le stesse cose. Spengono gli entusiasmi e gli slanci altrui. Dimenticano ciò che avete comunicato; si distraggono facilmente mentre voi parlate o vi interrompono per dare informazioni inutili; non ascoltano. Giocano ai videogiochi, scrollano i social o hanno dipendenze da sostanze. Sono tutti modi di mantenere quella distanza sufficiente a far sì che la relazione resti sempre in superficie.

7) Non sono affettuosi o non lo sono in maniera costante.

8) Potrebbero giustificarsi sostenendo di essere stati feriti/delusi da precedenti relazioni (chi non lo è?). Ogni rosa ha le sue spine e quelle delle relazioni implicano la sofferenza: non essere disposti a soffrire in una relazione è già indice di indisposizione emotiva. In alternativa affermano: di avere paura (la paura è sana finché non impedisce di vivere l’esperienza); di essere confusi: “non sei tu, sono io la causa” (bang!). O di non essere pronti per una relazione “impegnata” (bang!).

9) Non hanno mai avuto relazioni serie, durature, o non negli ultimi anni. Non hanno mai detto “ti amo”.

10) Evitano il conflitto.

11) Spesso incolpano gli altri, piuttosto che riconoscere e affrontare le conseguenze emotive.

12) Non amano il contatto fisico e possono persino arrivare a fuggire la sessualità anche se, a volte, il sesso risulta essere l’unico momento in cui si permettono un, seppur minimo, grado di intimità. Spesso le relazioni di coppia con una persona emotivamente non disponibile assomigliano a quelle tra coinquilini.

13) Compartimentalizzano le frequentazioni: non vi presentano ad amici o famigliari.

14) Cercano la perfezione in sé stessi e nel partner. Per aumentare la distanza ed evitare il legame autentico potrebbero focalizzarsi su un vostro difetto: “mi piacciono i tuoi occhi ma non il tuo naso”; “non mi piacciono i tuoi amici/parenti/animali/ colleghi”.

15) Vedono le relazioni come impedimenti, ostacoli o stress. Non avvertono la necessità delle relazioni e dell’intimità per sentirsi individui completi (stile di attaccamento evitante).

16) Soffrono di ansia o stati depressivi ma lo nascondono/giustificano/minimizzano/razionalizzano e non fanno nulla a riguardo.

Come si diventa emotivamente non disponibili?

All’origine possono esserci traumi infantili: perdita, abbandono, rifiuto; genitori a loro volta emotivamente indisponibili, manipolatori, narcisisti, egocentrici, dipendenti da sostanze o da iperlavoro; mentalmente disturbati o abusanti. Il bambino i cui bisogni non sono stati accolti ha appreso a chiudersi. Un forte trauma intollerabile da ricordare ha provocato l’evitamento di tutte le emozioni.

Anche drammatiche relazioni precedenti possono causare una, seppur temporanea, non disponibilità emotiva. Così un forte cambiamento di vita (licenziamento, cambio di città, malattia, difficoltà economiche) possono creare uno stato momentaneo di non disponibilità.

Non è escluso che queste persone abbiano legami duraturi o trascorrano del tempo accanto a un altro: ciò non vuol dire però che entrino in relazione!! Queste persone possono anche innamorarsi ma non essere disposte a dedicare tempo, profondità, autenticità al rapporto. Piuttosto che condividere un gesto romantico o uno stato d’animo si occuperanno di farvi la spesa, prepararvi la cena o lavarvi l’auto: questo è il loro modo di amare.

Ugualmente non bisogna confondere chi, all’inizio di una frequentazione richieda una certa calma nel procedere: non è detto che sia emotivamente non disponibile. La differenza sta nel fatto che la persona disponibile comunicherà le ragioni e il proprio sentire relativamente alla sua richiesta.

Se, a seguito di questa lettura, ti rendi conto di aver frequentato diverse persone emotivamente non disponibili, dovresti interrogarti sul fatto che probabilmente anche tu sei una persona non disponibile sul piano emotivo. Avere a che fare con persone distanti e evitanti ti ha consentito di restare in superficie nei rapporti, poiché forse, inconsciamente, non sei pronto per una relazione autentica.

Spesso nel mio studio sento dire: “ho scelto di essere single perché le relazioni mi stressano. Da solo/a sto così bene: non soffro d’ansia e sono felice, realizzato/a. In coppia invece ero sempre ansioso/a e tendevo alla depressione”. Ecco, questo può essere indicativo di una non disponibilità emotiva.

È vero anche il contrario: essere incappati in un partner emotivamente non disponibile può averti fatto sentire inadeguato: seppur in relazione hai percepito solitudine. Ti sei sentito in colpa per i tuoi bisogni di contatto e intimità; hai percepito il rifiuto e la frustrazione, la sensazione di essere sbagliato o troppo sensibile. Riabilitati e legittima il tuo sentire: non era colpa tua! Restare in un legame con qualcuno che non è in grado di sostenerti o amarti nel modo in cui meriti è estenuante.

Come superare questo blocco di non disponibilità emotiva?

Partiamo dal presupposto che queste persone vogliono evitare il dolore, pertanto saranno riluttanti a instaurare anche una relazione d’aiuto (counseling): eppure, affrontare il dolore è il solo modo di superarlo. Peraltro, dolore e gioia sono le due facce di una medesima medaglia: se evitiamo il dolore, non conosceremo neppure la gioia.

Apprendere a rileggere la propria infanzia abusata, rivedere i propri bisogni insoddisfatti è una strategia molto utile per tornare in contatto con il proprio sentire. Con un’adeguata rieducazione emotiva si può apprendere a dare i nomi a ciò che si prova; imparare a comunicarlo agli altri e chiedere dei feedback. O anche esplorare le nostre tre dimensioni: “cosa sto pensando? Cosa sto sentendo? Cosa sto provando nel corpo?”


#SiiReale


Bibliografia

Marni Feuerman

“Ghosted and Breadcrumbed: Stop Falling for Unavailable Men and Get Smart about Healthy Relationships”, 2019.


Commenti