LA VOCAZIONE DELL'ANIMA E LA TRASVALUTAZIONE DEI VALORI





 Si reca da me una donna sopra la cinquantina.

Riferisce di volersi sentire più forte e meno fragile. Mi racconta di un precedente esaurimento energetico e psicofisico relativo a un episodio di mobbing professionale.

Teme anche la prossimità con persone malate o sconosciute: teme un contagio. Diverse cose sono per lei "sporche".

Dopo alcuni incontri Rita (nome di fantasia) inizia a modellare una nuova esistenza: chiude numerosi cicli del suo passato e rivede le figure genitoriali in una nuova e più pacifica luce. Affronta le entità del distacco e della morte e ora è finalmente pronta ad avvicinare persone nuove. Dopo decenni, riesce anche a riallacciare un rapporto sano con la sorella. Soprattutto, Rita inizia ad uscire -cosa che non faceva da anni- e a coltivare passioni come il ballo, che aveva trascurato da oltre un ventennio. Affronta da più prospettive il senso di colpa e di non essere abbastanza: decisamente adesso si sente più forte e con più entusiasmo e, di conseguenza, osa vivere un po' di più.

Ed è qui che inizia davvero il lavoro su se stessa.

Tutto il pregresso ha avuto la finalità di conseguire e mantenere quel tanto di energia sufficiente a fronteggiare una nuova immagine di sé.

Riusciamo a desiderarci diversi?

Quanto?

Come?

Rita ha cambiato abitudini, migliorato relazioni, risvegliato il tono energetico, si nutre di passioni sane ma ancora non sa desiderare se stessa all'interno di una relazione con l'altro sesso.

Questa esperienza nella sua esistenza non ha mai raggiunto un grado soddisfacente di appagamento: in qualche modo, Rita ha sempre allontanato gli uomini.

Nell'ultimo periodo lamenta spesso la sensazione di un nodo in gola.

Iniziamo a lavorare con il corpo e le sue sensazioni amplificando il tutto attraverso meditazioni attive.

È così che in Rita riemerge un ricordo traumatico sepolto sotto la polvere che si è depositata nell'arco di 40 anni!!

Appena adolescente, un uomo la manipola per scoprire le sue fragilità e a quel punto la seduce facilmente, la raggira e la costringe a masturbarlo.

Mentre racconta l’abuso per la prima volta dopo l’accaduto, Rita, piange, singhiozza, ha nausea e il nodo in gola si fa opprimente.

A seguito dell’abuso Rita scappa a casa: a lavare tutto lo sporco per 40 anni; a fare finta di nulla per 40 anni; ad avere paura per 40 anni; a sentirsi colpevole per 40 anni; a sapersi per sempre inadeguata, incapace, indifesa, fragile, inconsistente, sporca.

Trattiene il dolore per vergogna verso la famiglia e con esso matura una sindrome al colon che la accompagnerà fino al giorno in cui, ormai più che adulta, non andrà a vivere da sola.

Per 40 anni, Rita riduce in ogni modo la sua energia pur di non avere nuovamente accesso a un dolore che non sapeva neppure dire.

Sino al momento del racconto, Rita non si è mai resa conto di aver subito un abuso: era convinta (come troppo spesso accade alle donne) di essere stata semplicemente troppo leggera.

Nell’incontro successivo torna forte il nodo in gola e Rita lo associa al giudizio su se stessa:

"ora lo vedo che si è trattato di un abuso, ma come mi libero di questo giudizio? È per questo che ho un cattivo giudizio sulle donne seduttive e femminili. Per questo non riesco a scherzare e giocare con un uomo. In me c'è ancora tanta vergogna e giudizio".

A questo punto focalizziamo il lavoro corporeo proprio sul giudizio.

Rivedo Rita e la trovo splendente, raggiante, molto femminile e seducente. Glielo dico ma lei non riesce a vedersi ancora così, anzi, mi dice che si sente terribilmente debole e stanca. Mi riferisce del lavoro sul corpo: " Ho avuto una fitta proprio nell’area un cui per decenni avevo il problema al colon. Ho sentito nuovamente il nodo in gola. Poi si è spostato, finalmente, ma è arrivato sotto il palato. Era come un'ostia incollata sotto il palato e con la sensazione di avere una lingua enorme che voleva srotolarsi ..."

Lavoriamo sull'elemento nuovo emerso: l'ostia.

Le chiedo se dopo l'abuso avesse continuato ad andare in chiesa e fare la comunione.

Ovvio che non poteva: non avrebbe mai osato confessare l'accaduto!

Quando realizza questa connessione, Rita in qualche modo guadagna 5 cm di altezza: finalmente si è perdonata, è pura e può prendere in sé il corpo di Cristo in cambio di un peccato superato.

Quale peccato?

Quello di essersi considerata peccatrice. È questa la massima colpa dal punto di vista dell’anima: considerarsi colpevoli è la nostra unica colpa. L’anima, per chi ha o ha fatto anima, non è men che pura in ogni suo colore.

Ora Rita ha gli occhi più grandi e anche i denti più bianchi che le fanno brillare il sorriso: intorno e dietro di lei s’è già fatta primavera.

Sento tutta la sua energia e in quell'istante so che è pronta alla fase più difficile del lavoro: la trasvalutazione dei valori e la vocazione dell'anima a depersonalizzare le ferite.

Il termine trasvalutazione si deve al pensatore e scrittore tedesco Nietzsche con cui alludeva a un rovesciamento e un oltrepassassamento dei valori comuni.

La trasvalutazione è l’esigenza per l'anima di andare oltre quelle verità che per l'uomo sono oggettive, talvolta di capovolgerle. In realtà non vi sono fatti oggettivi e, pertanto, non è possibile la comprensione, né la conoscenza, di una cosa in sé. Bisogna sempre tenere conto della prospettiva e delle sensazioni individuali, giacche' non esistono fatti, ma solo interpretazioni.

Introduco Rita a questa tecnica e alla fine le chiedo di individuare il dono che ha ricevuto da questo abuso.

Non ha esitazioni.

Diviene seria e il suo viso pulito e duro come la pietra. Ha una saggezza antica inscritta nel volto e la fermezza di chi ha camminato tanto:

"io ho un potere. Da allora mi basta uno sguardo per capire se di una persona posso fidarmi o no".

"Ti ha protetto questo potere?” Le chiedo. “Puoi dire con certezza che ti ha salvato la vita più volte? Ne hai avuto la riprova?”

"Assolutamente si".

Dopo quella risposta così lineare e ferma come la lama lucente di una spada, Rita, se è possibile, acquista altri 5 cm di altezza.

"Mi sento dritta, centrata, sicura e forte. È vero, Sara, io ho un potere ...ho questo potere...e l'ho anche usato per tutti questi anni ma non sapevo di averlo. Ora mi sento improvvisamente sicura. Riconosco la mia forza".

Ottimo.

“Restano due cose da fare. Nella prima, dobbiamo fare contento Alejandro Jodorowsky con un atto di psicomagia a suggellare il tuo perdono e il dono, il corpo cristico ricevuto: te la sentiresti di prendere la comunione domenica?"

"Assolutamente sì".

"Il secondo punto riguarda ancora la tua anima: la sua vocazione alla totalità indivisa. È per questa vocazione che l'anima è naturalmente predisposta a soffrire. È come a dire che dà il consenso al dolore per maturare l'armonia di tutte le sue parti".

Ormai Rita e io è da un po' che camminiamo assieme e lei conosce e riconosce il mio passo. Pertanto, mi anticipa:

"Ero predisposta ad essere ferita da quest'uomo per costruire la mia sicurezza, la mia forza, il mio potere e la consapevolezza di essere pura, giusto?"

Ci guardiamo negli occhi.

È sufficiente.

"Da allora, ho questo potere di comprendere chi ho davanti ... ma perché nonostante questo non sono mai riuscita a scegliere un uomo con cui essere in relazione?"

"Hai preso il potere, eppure sino ad ora ne eri inconsapevole. Ma, soprattutto, eri inconsapevole della vocazione della tua anima: scegliere quella relazione di abuso."

"Giusto. Era un accordo tra anime, in qualche modo. E, dunque era una relazione. Questo tassello è fondamentale..."

"Non si tratta di perdono ...di perdonare l'uomo di 40 anni fa. Noi non siamo nessuno per condannare o perdonare altri. Nessuno detiene un senso (astratto) di giustizia. Si tratta di vedere la relazione, la vocazione d'anima e saper trasvalutare le qualità in gioco.

Resta ancora la tua lingua da srotolare. Ti va di raccontarmi nuovamente tutto?".

Rita mi ripete il racconto dell'abuso e aggiunge dettagli che ora riaffiorano alla memoria poiché la sua energia liberata adesso lo consente.

La sua voce è ferma e risoluta: "Non ho più nausea raccontando. Non sento più quel dolore."

🙏

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