QUANDO FINISCE UN AMORE

E’ finita una storia, la vostra storia.
Vi sentite a pezzi, diminuiti; vi manca l’altra persona, le sue abitudini, la presenza, l’odore, il tono della sua voce, quel sorriso. Siete irrimediabilmente distratti; non riuscite a non pensare all’altro: ogni cosa, ogni suono, ogni parola pronunciata a caso sembra dirigere la vostra memoria a quanto di più magicamente struggente abbia vestito il vostro tempo. Lavorare è ormai impossibile;  uscire con gli amici è inopportuno. Lentamente sembra srotolarsi in voi un tappeto di depressione; troppo facile perdere di vista il senso proprio alla vita.

Questa è, per sommi capi, la sindrome della fine di una storia d’amore.
Questo è ciò che appare.
Ora andiamo a vedere, invece, di cosa si tratta.



AMORE INCONDIZIONATO
Cosa vuol dire amare?
Essenzialmente, amare è anteporre il bene dell’altro al proprio; anteporre i bisogni dell’altro ai propri; anteporre la felicità dell’altro alla propria; anteporre la vita dell’altro alla propria.
Qui parliamo, ovviamente,  di una delle forme più alte di amore a privilegio dell’uomo comune: l’amore incondizionato, quello in cui si è disposti a dare la propria vita per l’altro. E’ l’amore che madri e padri conoscono molto bene, o hanno conosciuto nei primi anni di vita  dei loro figli (con il passare del tempo, purtroppo, questo sentimento tende a cambiare); è lo stesso amore che i cani tentano di insegnare ai loro bipedi.





DEL  FARE SACRO

Dunque, amare = sacrificare se stessi per l’altro ( o gli altri)
In cosa consiste quel rendersi sacri, il sacrificarsi?
Quello che comunemente, istintivamente direi, si fa quando si ama o si è anche solamente innamorati, è mettere da parte se stessi per amore dell’altro.
Lo si fa sempre.
Si tratta di gradazioni, ovviamente, ma ogni individuo che abbia provato anche solo una forte infatuazione, ha, in una certa misura, sacrificato se stesso per fare spazio all’atro.
L’altro, l’ amato (Dio, partner, figlio, amico, animale domestico, “altro”) è al centro delle nostre instancabili attenzioni: ciò a cui normalmente non riusciamo a rinunciare diviene una piacevole resa se fatto per l’amato; quello che  solitamente ci irrita o non sopportiamo diviene persino divertente se fatto dall’amato; e così via.



I CONFINI DELL’IO
Ecco cosa accade: i nostri bisogni, le nostre manie, i nostri interessi, le nostre esigenze passano in secondo piano. Questo sacrificare non è altro che ridurre i confini del proprio Ego: sminuirlo o, in alcuni sublimi casi, persino mortificarlo.
In fondo, amare è soltanto questo: rinunciare (fare sacro) al proprio illusorio io.
Amore e morte, o meglio: amore è morte, la morte dell’io.





LA PRIGIONE DEL “ME” E LA VERA NATURA
Eppure, in questa morte si sta troppo bene: si è straordinariamente felici solo ad avere l’opportunità di poter fare qualcosa per l’altro.
Il “me” invece, è una prigione fatta di infinite tentazioni della mente e altrettante frustrazioni: il bisogno di approvazione, il bisogno di piacere, il bisogno di sicurezza, il bisogno di coerenza, il bisogno di identità/ruolo,  il bisogno di manipolare la realtà a proprio piacimento, il bisogno di riconoscimento, le paure, le aspettative, i desideri, etc. La vita del “me” è questo susseguirsi di catene.
Ma quando il “me “ scompare, ciò che si rivela è illimitato, infinito, invulnerabile: è la nostra vera natura.
Proviamo a ricordarlo: come ci si sente quando si è innamorati, quando si ama, quando si diviene mamme o papà?
Forti, invincibili, felici, sereni, divertenti, divertiti, sicuri, gioiosi, instancabili, creativi, entusiasti, sorridenti, gentili oltre misura, accoglienti, empatici,  belli, etc. etc.
Questa è la nostra vera natura.




NOSTALGIA DI INFINITO
Adesso torniamo all’impressione iniziale:
come ci si sente quando finisce un amore?
Confrontiamola con la vera natura:
come ci si sente quando si ama?
Fatto?
Bene. Ora proviamo onestamente a chiederci: cosa ci manca davvero quando finisce un amore?
No. Non è il partner e i suoi profondi occhi neri.
Ma ci siete vicini.
E’ ciò che quegli occhi vedevano. O meglio: è il modo in cui ognuno di noi si è sentito ogni volta che stava amando ( con tutte le relative gradazioni di intensità).
Ciò che viene meno con  la fine di un amore è il sentirsi belli, infiniti e invincibili al cospetto del mondo. E’ questo sentirsi che ci manca. Ed è questa mancanza la matrice del dolore, ovvero l’aver perso la nostra reale natura ed essere tornati alla prigione del “me”.
L’io è sofferenza, poiché l’egoismo è separazione e solitudine estreme. E l’egoismo è l’espressione dell’io (ego). I momenti di maggior felicità che possiamo ricordare sono quelli in cui  siamo stati realmente non egoisti, in cui la coscienza dell’altro vinceva le sbarre al proprio io.




CI SI AMA
Perdendo se stessi (l’io) nell’amore per l’altro, si ritrova la propria reale natura: è un senso di  infinita, impalpabile, grandezza e di amore per se stessi. Quando si sta amando qualcosa o qualcuno (con le relative gradazioni di intensità) si sta al contempo e inevitabilmente amando anche se stessi: si ama ciò che si fa, si ama ciò che si prova. E si è totali: si è totalmente ciò che si sente e si è totalmente in ogni cosa che si fa. Ergo, ci si ama.
Spesso si è indotti a credere che ci si ami per il fatto che ci sia qualcun altro ad amarci. Ma non sempre è così: un bimbo appena nato non ama propriamente la sua mamma o il suo papà: ne ha bisogno. E non è detto che amare debba essere reciproco. Eppure nell’amare, nel mortificare il proprio ego, inevitabilmente, ci si ama. Non  serve spiegarlo ancora: vi basti accedere, onestamente, alla vostra memoria.
Quell’amore, quella piacevole, infinita grandezza, quell’amarsi, è ancora la nostra reale natura. E’ ciò che siamo al di là dell’io.
Pertanto, non è che ogni qual volta stiamo amando si manifesta la nostra natura. Noi siamo questo amore. Lo siamo sempre. E’ che quando viene via il velo dell’ego (in ogni sua gradazione) automaticamente si palesa la nostra reale natura, dall’io offuscata.




E VISSERO PER SEMPRE FELICI E CONTENTI
La fine di una storia accende la nostalgia di infinito che un giorno abbiamo saggiato. L’amore romantico ne è solo un veicolo: è una gita fuori tempo, nello spazio del sacro, laddove muore il giogo dell’io.
Sviluppare coscienza dell’altro (Dio, mondo, natura, partner, figli, genitori, amici, animali, etc) al di là del proprio io ci porta in Essere. Questo avviene in automatico soltanto poiché si è ridotta la superficie del proprio io. E’ sempre stato così, ed è sempre stato narrato così: “e vissero per sempre felici e contenti”.
Vi dice nulla questa frase? E’ il privilegio dell’amore incondizionato, il privilegio della rinuncia all’io.  E’ ovvio, semplice e in quanto tale   inaccettabile dall’ego che ha invece sempre bisogno dello straordinario per potersi sentire speciale.
L’amore (in ogni sua gradazione) richiede sempre la morte dell’io (in ogni sua relativa gradazione): Biancaneve e la sua bara; Cenerentola è tutta una mortificazione dell’io; la Bella e la bestia (definizione appropriatissima per l’ego); la bella addormentata il cui io muore in un sonno lungo cento anni procurato proprio da una sciocca ferita dell’ego (la puntura del fuso; tali sono metaforicamente le ferite dell’ego: appena punture di spillo; eppure, per l’ego, letali); Pinocchio muore più volte; e così via, di c’era una volta in c’era una volta! La morte dell’io è l’inevitabile preludio al “vissero per sempre felici e contenti”.




LA MORALE DELLA FAVOLA
Ogni fame d’amore è fame di Verità. Che lo si sappia o no: ogni ricerca d’amore è ricerca di Verità. E’ volontà innata di infrangere i limiti imposti dall’io. E’ Coscienza che si fa “altro” per amare se stessa.
E’ necessario divenire genitori o incontrare la principessa o il principe azzurro per tornare alla propria natura?
Oh, no. Questi sono solo pretesti, illustrazioni in un libro di fiabe.
Qual è la morale della favola?
Tanto più intenso è il sacrificio dell’io, tanto più immensa è la gioia che ne consegue.
La felicità che può contenere un io è limitata quanto i suoi confini e transitoria quanto la sua natura.
La gioia dell’Essere ha il gusto di Infinito.

Le gradazioni tra i due poli sono numerose: ognuno si collochi dove crede e da lì abbia inizio il Per Sempre. Che non è fatto di principi azzurri, ma di un principio celeste: di un sacro fare, di Divina accoglienza. 



Sara Ascoli
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